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ultime lettere d’jacopo ortis. |
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davvero e per sempre. Oggi t’ho cercato invano per dirti addio. Abbiti almeno, o Teresa, queste ultime righe ch’io bagno, tu’l vedi, d’amarissime lagrime. Mandami in qualunque tempo, in qualunque luogo il tuo ritratto. Se l’amicizia, se l’amore — o la compassione e la gratitudine ti parlano ancora per questo sconsolato, non negarmi il ristoro che addolcirà tutti i miei patimenti. Tuo padre stesso me lo concederà, spero — egli, egli che potrà vederti, ed udirti, e sentirsi riconfortato da te; mentr’io nelle ore fantastiche del mio dolore e delle mie passioni, noiato di tutto il mondo, diffidente di tutti, camminando sopra la terra come di locanda in locanda, e drizzando volontariamente i miei passi verso la sepoltura — perché ho veramente necessità di riposo — io mi conforterò intanto baciando dì e notte l’immagine tua; e così tu m’infonderai da lontano costanza da sopportare questa mia vita, — e finché avrò forze, io la sopporterò per te, e te lo giuro. E tu prega — prega, o Teresa, dalle viscere del tuo cuore purissimo il cielo, non che mi perdoni i dolori, che forse avrò meritati, e che forse sono inerenti alla tempra dell’anima mia, bensì che non mi levi le poche facoltà che ancora mi avanzano, da tollerarli. Con l’immagine tua farò men angosciose le mie notti, e meno tristi i miei giorni solitarj, que’ giorni ch’io dovrò pur vivere senza di te. Morendo, io volgerò a te gli ultimi sguardi, io ti raccomanderò il mio sospiro; verserò sovra di te l’anima mia, ti porterò meco nella mia sepoltura attaccata al mio petto — e se è pure prescritto ch’io chiuda gli occhi in terra straniera, e dove nessun cuore mi piangerà, io ti richiamerò tacitamente al mio capezzale, e mi parrà di vederti in quell’aspetto, in quell’atto, con quella stessa pietà che io ti vedeva, quando una volta, assai prima che tu sapessi di amarmi, assai prima che tu t’accorgessi dell’amor mio — ed io era ancora innocente verso di te — mi assistevi nella mia malattia. — Di te non ho se non l’unica lettera che mi scrivesti quando io era in Padova: felice tempo! ma chi l’avrebbe mai detto? Allora parevami che tu mi raccomandassi di ritornare: — ed ora? scrivo ed eseguirò fra poche ore il decreto della nostra eterna separazione. Da quella tua lettera comincia la storia dell’amor nostro; e non mi abbandonerà mai. O mia Teresa! e questi sono pure delirj: ma sono insieme la sola consolazione di chi è sommamente infelice. Addio. Perdonami, mia Teresa — ohimè, io mi credeva più forte! — scrivo male e di un carattere appena leggibile; ma ho l’anima lacerata, e il pianto su gli occhi. Per carità non mi negare il tuo ritratto. Consegnalo a Lorenzo: e s’ei non me lo potrà far arrivare, lo custodirà come eredità santa che gli ricorderà sempre e le tue virtù, e la tua bellezza, e l’unico eterno infelicissimo amore del suo misero amico. Addio; — ma non è l’ultimo: mi rivedrai; e da quel giorno in poi sarò fatto tale da obbligare gli uomini ad avere pietà e rispetto alla nostra passione; e a te non sarà più delitto