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ultime lettere d’jacopo ortis. 69

immensa bellezza? Dov’è l’intreccio pittoresco de’ colli ch’io contemplava dalla pianura innalzandomi con l’immaginazione nelle regioni dei cieli? mi sembrano rupi nude, e non veggo che precipizj. Le loro falde coperte di ombre ospitali, mi son fatte nojose; io vi passeggiava un tempo fra le ingannevoli meditazioni della nostra debole filosofia. A qual pro se ci fanno conoscere le infermità nostre, né porgono i rimedj da risanarle? — Oggi io sentiva gemere la foresta ai colpi delle scuri: i contadini atterravano i roveri di duecento anni: — tutto père quaggiù.

Guardo le piante ch’una volta scansava di calpestare, e mi soffermo sovr’esse e le strappo, e le sfioro gittandole fra la polvere rapita dai venti. Gemesse con me l’universo!

Sono uscito assai prima del sole, e correndo attraverso dei solchi cercava nella stanchezza del corpo qualche sopore a quest’anima tempestosa. La mia fronte era tutta sudore, e il mio petto ansava con difficile anelito. Soffia il vento della notte, e mi scompiglia le chiome ed agghiaccia il sudore che grondavami dalle guance. Oh! da quell’ora mi sento per tutte le membra un brivido, le mani fredde, le labbra livide, e gli occhi erranti fra le nuvole della morte.

Almeno costei non mi perseguitasse con la sua immagine, ovunque io mi vada, a piantarmisi faccia a faccia! perch’ella, o Lorenzo — perch’ella mi muove qui dentro un terrore, una disperazione, una rabbia, una gran guerra — e medito talor di rapirla e di strascinarla con me nei deserti, lungi dalla prepotenza degli uomini. — Ahi sciagurato! mi percuoto la fronte e bestemmio: — partirò.