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65 | ultime lettere d’jacopo ortis. |
rispondendo rideva pur sempre con soave amabilità. E in quelle parole, e in quel riso, e in quell’aria di volto demente, e in quegli occhi fitti sul cranio, e in quelle sue dita pallide e tremanti che andavano intrecciando le rose — tu ti se’ pur avveduto come alle volte il desiderio di morire è necessario insieme e dolcissimo; ed eloquente fin anche sul labbro d’una fanciulla impazzata.
Tornerò, Lorenzo: conviene ch’io esca; il mio cuore si gonfia e geme come se non volesse starmi più in petto: su la cima di un monte mi sembra d’essere alquanto più libero: ma qui nella mia stanza — sto quasi sotterrato in un sepolcro.
Sono salito su la più alta montagna: i venti imperversavano; io vedeva le querce ondeggiar sotto a’ miei piedi; la selva fremeva come mar burrascoso, e la valle ne rimbombava; su le rupi dell’erta sedeano le nuvole — nella terribile maestà della natura la mia anima attonita e sbalordita ha dimenticato i suoi mali, ed è tornata per alcun poco in pace con sè medesima.
Vorrei dirti di grandi cose: mi passano per la mente; vi sto pensando! — m’ingombrano il cuore, s’affollano, si confondono: non so più da quale io mi debba incominciare; poi tutto ad un tratto mi sfuggono, ed io prorompo in un pianto dirotto.
Vado correndo come un pazzo senza saper dove, e perchè: non m’accorgo, e i miei piedi mi strascinano fra' precipizj. Io domino le valli e le campagne soggette; magnifica ed inesausta natura! I miei sguardi e i miei pensieri si perdono nel lontano orizzonte. — Vo salendo, e sto lì — ritto — anelante: guardo all'ingiù; ahi voragine! alzo gli occhi inorridito, e scendo precipitoso appiè del colle dove la valle è più fosca. Un boschetto di giovani querce mi protegge dai venti e dal sole; due rivi d’acqua mormorano qua e là sommessamente: i rami bisbigliano, e un rosignuolo — ho sgridato un pastore che era venuto per rapire dal nido i suoi pargoletti: il pianto, la desolazione, la morte di quei deboli innocenti dovevano essere venduti per una moneta di rame; così va! ma io l’ho compensato del guadagno che sperava di trarne, e mi ha promesso di non disturbare più i rosignuoli. — E là io mi riposo. — Dove se’ ito, o buon tempo di prima! la mia ragione è malata, e non può fidarsi che nel sopore, e guai se sentisse tutta la sua infermità! Quasi quasi. — O povera Lauretta! tu forse mi chiami.
Tutto, tutto quello ch’esiste per gli uomini non è che la lor fantasia. Caro amico! fra le rupi la morte mi era spavento; e all’ombra di quel boschetto io avrei chiusi gli occhi volentieri in sonno eterno. Ci fabbrichiamo la realtà a nostro modo; i nostri desiderj si vanno moltiplicando con le nostre idee; sudiamo per quello che vestito diversamente ci annoja; e le nostre passioni non sono in fine del conto che gli effetti delle