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62 ultime lettere d’jacopo ortis.


14 maggio, ore 11.

Sì, Lorenzo! — dianzi io meditai di tacertelo — Or odilo, la mia bocca è tuttavia rugiadosa — d’un suo bacio — e le mie guance sono state inondate dalle lagrime di Teresa. Mi ama — lasciami, Lorenzo, lasciami in tutta l’estasi di questo giorno di paradiso.

14 maggio, a sera.

O quante volte ho ripigliato la penna, e non ho potuto continuare: mi sento un po’ calmato e torno a scriverti. — Teresa giacea sotto il gelso — ma e che posso dirti che non sia tutto racchiuso in queste parole: Vi amo? A queste parole tutto ciò ch’io vedeva mi sembrava un riso dell’universo: io mirava con occhi di riconoscenza il cielo, e mi parea ch’egli si spalancasse per accoglierci: deh! a che non venne la morte? e l’ho invocata. Sì; ho baciato Teresa; i fiori e le piante esalavano in quel momento un odore soave; le aure erano tutte armonia; i rivi risuonavano da lontano; e tutte le cose s’abbellivano allo splendore della luna che era tutta piena della luce infinita della divinità. Gli elementi e gli esseri esultavano nella gioja di due cuori ebbri di amore — Ho baciata e ribaciata quella mano — e Teresa mi abbracciava tutta tremante, e trasfondea i suoi sospiri nella mia bocca, e il suo cuore palpitava su questo petto: mirandomi co’ suoi grandi occhi languenti, mi baciava, e le sue labbra umide, socchiuse mormoravano su le mie — Ahi! che ad un tratto mi si è staccata dal seno quasi atterrita: chiamò sua sorella, e s’alzò correndole incontro. Io me le sono prostrato, e tendeva le braccia come per afferrar le sue vesti — ma non ho ardito di rattenerla, né richiamarla. La sua virtù — e non tanto la sua virtù, quanto la sua passione, mi sgomentava: sentiva e sento rimorso di averla io primo eccitata nel suo cuore innocente. Ed è rimorso — rimorso di tradimento! Ahi, mio cuore codardo! — Me le sono accostato tremando. — Non posso essere vostra mai! — e pronunciò queste parole dal cuore profondo, e con una occhiata con cui parea rimproverarsi e compiangermi. Accompagnandola lungo la via, non mi guardò più; nè io avea più coraggio di dirle parola. Giunta alla ferriata del giardino mi prese di mano la Isabellina e lasciandomi: Addio, diss’ella; e rivolgendosi dopo pochi passi, — addio.

Io rimasi estatico: avrei baciate l’orme de’ suoi piedi: pendeva un suo braccio, e i suoi capelli rilucenti al raggio della luna svolazzavano mollemente: ma poi, appena appena il lungo viale e la fosca ombra degli alberi mi concedevano di travedere le ondeggianti sue vesti che da lontano ancor biancheggiavano; e poiché l’ebbi perduta, tendeva l’orecchio sperando