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58 ultime lettere d'jacopo ortis

nè io v’aspiro: io mi sono uno de’ tanti figliuoli della terra, non altro; e porto meco tutte le passioni e le miserie della mia specie.

Il contadino andava ridicendo: — Vi ho fatto villania, ma io non vi conosceva; que’ lavoratori che segavano il fieno ne’ prati vicino mi hanno dopo avvertito.

— Non importa, buon uomo: come andrà egli il raccolto quest’anno?

— Patiremo del caro: or pregovi, signor mio, perdonatemi. Dio volesse v’avessi allor conosciuto!

— Galantuomo; o conoscendo o non conoscendo, non date noja a nessuno, perchè starete a rischio a ogni modo o di inimicarvi il ricco, o di maltrattare il povero: quanto a me non occorre pensarvi.

— Dice bene il signore; Dio gliene rimeriti. — E si partì. E farà forse peggio; gli ha un certo che di sfacciato nel viso; e la ragione degli animali ragionevoli, quando non sentono verecondia, è ragione perniciosissima a chiunque ha che fare con loro.

Intanto? crescono ogni giorno i martiri perseguitati dal nuovo usurpatore della mia patria. Quanti andranno tapinando e profughi ed esiliati, senza il letto di poca erba nè l’ombra di un ulivo — Dio lo sa! Lo straniero infelice è cacciato perfino dalla balza dove le pecore pascono tranquillamente.

12 maggio

Non ho osato no, non ho osato. — Io poteva abbracciarla e stringerla qui, a questo cuore. L’ho veduta addormentata: il sonno le tenea chiusi que’ grandi occhi neri; ma le rose del suo sembiante si spargeano allora più vive che mai su le sue guance rugiadose. Giacea il suo bel corpo abbandonato sopra un sofà. Un braccio le sosteneva la testa, e l’altro pendea mollemente. Io la ho più volte veduta a passeggiare e a danzare; mi sono sentito sin dentro l’anima e la sua arpa e la sua voce, e la ho adorata pien di spavento come se l’avessi veduta discendere dal paradiso — ma così bella come oggi, io non l’ho veduta mai, mai. Le sue vesti mi lasciavano trasparire i contorni di quelle angeliche forme; e l’anima mia le contemplava e — che posso più dirti? tutto il furore e l’estasi dell’amore mi aveano infiammato e rapito fuori di me. Io toccava come un divoto e le sue vesti e le sue chiome odorose e il mazzetto di mammole ch’essa aveva in mezzo al suo seno — sì sì, sotto questa mano diventata sacra ho sentito palpitare il suo cuore. Io respirava gli aneliti della sua bocca socchiusa — io stava per succhiare tutta la voluttà di quelle labbra celesti — un suo bacio! e avrei benedette le lagrime che da tanto tempo bevo per lei — ma allora allora io la ho sentita sospirare fra il sonno: mi sono arretrato, respinto quasi da una