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ultime lettere d'jacopo ortis. | 57 |
Così l’uomo or aperto, or secreto, e sempre implacabile nemico della umanità, conservandosi con ogni mezzo, cospira all’intento della natura che ha d’uopo della esistenza di tutti: e i discendenti di Caino e d’Abele, quantunque imitino i loro primitivi parenti, e si divorino perpetuamente l’un l’altro, vivono e si propagano. — Or odi. Ho accompagnato stamattina per tempo Teresa e sua sorellina in casa di una lor conoscente venuta a villeggiare. Credeva di desinare in lor compagnia, ma per mia disgrazia aveva fin dalla settimana passata promesso al chirurgo di andare a pranzo con lui, e se Teresa non me ne facea sovvenire, io, a dirti la verità, me n’era dimenticato. Mi vi sono dunque avviato un’oretta innanzi al mezzogiorno; ma affannato dal caldo, mi sono a mezza strada coricato sotto un ulivo: al vento di jeri fuor di stagione, oggi è succeduta un’arsura nojosissima: e me ne stava lì al fresco spensieratamente come se avessi già desinato. Voltando la testa mi sono avveduto di un contadino che guardavami bruscamente: — Che fate voi qui?
— Sto, come vedete, riposando.
— Avete voi possessioni? — percotendo la terra col calcio del suo schioppo.
— Perchè?
— Perchè? — sdrajatevi su i vostri prati, se ne avete, e non venite a pestare l’erba degli altri: — e partendo, — fate ch’io tornando vi trovi!
Io non mi era mosso, ed egli se n’era ito. A bella prima, io non aveva badato alle sue bravate; ma ripensandoci; se ne avete! e se la fortuna non avesse conceduto a’ miei padri due pertiche di terreno, tu m’avresti negato anche nella parte più sterile del tuo prato l’estrema pietà del sepolcro! — Ma osservando che l’ombra dell’ulivo diventava più lunga, mi sono ricordato del pranzo.
Poco fa tornandomi a casa ho trovato su la mia porta l’uomo stesso di stamattina. — Signore, vi stava aspettando; se mai — vi foste adirato meco; vi domando perdono.
— Riponete il cappello: io non me ne sono già offeso.— Perché mai questo mio cuore nelle stesse occasioni ora è pace pace, ora è tutto tempesta?
Diceva quel viaggiatore: Il flusso e riflusso dei miei umori governa tutta la mia vita. Forse un minuto prima il mio sdegno sarebbe stato assai più grave dell’insulto.
Perché dunque rimetterci al beneplacito di chi ne offende, permettendo ch’egli ci possa turbare con una ingiuria non meritata? Vedi come l’amor proprio ruffiano si prova con questa pomposa sentenza di ascrivermi a merito un’azione che è derivata forse da — chi lo sa? In pari occasioni non ho usato di eguale moderazione: è vero che passata mezz’ora ho filosofato contro di me; ma la ragione è venuta zoppicando; e il pentimento, per chi aspira alla saviezza, è sempre tardo; ma