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56 | ultime lettere d'jacopo ortis |
la compassione delle sue sventure. Preziosa eredità ch’io vorrei pur dividere con voi tutti a’ quali non resta altro conforto che di amare la virtù e di compiangerla. Voi non mi conoscete; ma noi, chiunque voi siate, noi siamo amici. Non odiate gli uomini prosperi; solamente fuggiteli.»
4 maggio.
Hai tu veduto dopo i giorni della tempesta prorompere fra l’auree nuvole dell’oriente il vivo raggio del Sole, e riconsolar la natura? Tale per me è la vista di costei. — Discaccio i miei desiderj, condanno le mie speranze, piango i miei inganni: no, io non la vedrò più; io non l’amerò. Odo una voce che mi chiama traditore; la voce di suo padre! M’adiro contro me stesso, e sento risorgere nel mio cuore una virtù sanatrice, un pentimento. — Eccomi dunque saldo nella mia risoluzione; fermo più che mai: ma poi? — All’apparir del suo volto ritornano le illusioni, e l’anima mia si trasforma, e obblia se medesima, e s’imparadisa nella contemplazione della bellezza.
8 maggio.
E la non t’ama; e se pure volesse amarti, nol può. È vero, Lorenzo: ma s’io consentissi a strapparmi il velo dagli occhi, dovrei subito chiuderli in sonno eterno; poiché senza questo angelico lume, la vita mi sarebbe terrore, il mondo caos, la natura notte e deserto. — Anziché spegnere una per una le fiaccole che rischiarano la prospettiva teatrale e disingannare villanamente gli spettatori, non sarebbe assai meglio calar il sipario in un subito, e lasciarli nella loro illusione? Ma se l’inganno ti nuoce: — che monta? se il disinganno mi uccide!
Una domenica intesi il parroco che sgridava i villani perchè s’ubbriacavano. E non s’accorgeva come avvelenava a que’ meschini il conforto di addormentare nell’ebbrietà della sera le fatiche del giorno, di non sentire l’amarezza del loro pane bagnato di sudore e di lagrime, e di non pensare al rigore e alla fame che il venturo verno minaccia.
11 maggio.
Conviene dire che la natura abbia pur d’uopo di questo globo, e della specie di viventi litigiosi che lo stanno abitando. E per provvedere alla conservazione di tutti, anzichè legarci in reciproca fratellanza, ha costituito ciascun uomo così amico di sè medesimo, che volentieri aspirerebbe all’esterminio dell’universo per vivere più sicuro della propria esistenza, e rimanersi despota solitario di tutto il creato. Niuna generazione ha mai veduto per tutto il suo corso la dolce pace; la guerra fu sempre l’arbitra de’ diritti, e la forza ha dominato tutti i secoli.