Pagina:Ultime lettere di Jacopo Ortis.djvu/56

54 ultime lettere d'jacopo ortis

bagnava le mie guancie; poi col tuo fazzoletto mi rasciugavi le tue lagrime che tornavano a sgorgarti dagli occhi e scorrerti sulle labbra. — Abbandonata da tutti! — ma io no; non ti ho abbandonata mai.

Quando tu erravi fuor di te stessa per le romite spiagge del mare, io seguiva furtivamente i tuoi passi per poterti salvare dalla disperazione del tuo dolore. Poi ti chiamava a nome, e tu mi stendevi la mano, e sedevi al mio fianco. Saliva in cielo la Luna, e tu guardandola cantavi pietosamente — taluno avrebbe osato deriderti: ma il Consolatore de’ disgraziati, che guarda con un occhio stesso e la pazzia e la saviezza degli uomini, e che compiange e i loro delitti e le loro virtù — udiva forse le tue meste voci, e ti spirava qualche conforto: le preci del mio cuore t’accompagnavano: e a Dio sono accetti i voti e i sacrificj delle anime addolorate. — I flutti gemeano con flebile fiotto, e i venti che gl’increspavano, gli spingeano a lambir quasi la riva dove noi stavamo seduti. E tu, alzandoti appoggiata al mio braccio, t’indirizzavi a quel sasso ove parevati di vedere ancora il tuo Eugenio, e sentir la sua voce, e la sua mano, e i suoi baci. — Or che mi resta? esclamavi; la guerra mi allontana i fratelli, e la morte mi ha rapito il padre e l’amante: abbandonata da tutti!

O Bellezza, genio benefico della natura! Ove mostri l’amabile tuo sorriso scherza la gioja, e si diffonde la voluttà per eternare la vita dell’universo: chi non ti conosce e non ti sente incresca al mondo e a sè stesso. Ma quando la virtù ti rende più cara, e le sventure, togliendoti la baldanza e la invidia della felicità, ti mostrano ai mortali co’ crini sparsi e privi delle allegre ghirlande — chi è colui che può passarti davanti e non altro offerirti che un’inutile occhiata di compassione?

Ma io t’offeriva, o Lauretta, le mie lagrime, e questo mio romitorio dove tu avresti mangiato del mio pane, e bevuto nella mia tazza, e ti saresti addormentata sovra il mio petto.1 Tutto quello ch’io aveva! e meco forse la tua vita, sebbene non lieta, sarebbe stata libera almeno e pacifica. Il cuore nella solitudine e nella pace va a poco a poco obliando i suoi affanni; perché la pace e la libertà si compiacciono della semplice e solitaria natura.

Una sera d’autunno la luna appena si mostrava alla terra rifrangendo i suoi raggi su le nuvole trasparenti, che accompagnandola l’andavano ad ora ad ora coprendo, e che sparse per l’ampiezza del cielo rapivano al mondo le stelle. Noi stavamo intenti a’ lontani fuochi de’ pescatori, e al canto del gondoliere che col suo remo rompea il silenzio e la calma

  1. Regum, Lib. II, cap. XII.