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ultime lettere d'jacopo ortis | 51 |
voi soli; anzi perchè la virtù su la oscura vostr’anima non risplende, vorreste reprimerla anche ne’ petti degl’infelici, che pure non hanno altro conforto, e illudere in questa maniera la vostra coscienza? — Gli occhi di Teresa mi davano ragione; pur si studiava di far mutare discorso — ma la visiera era alzata; e come poteva io più tacere? ben ora ne sento rimorso — gli occhi degli sposi erano fitti a terra, e la loro anima fu anch’essa atterrata; quando gridai con fierissima voce: — Coloro che non furono mai sventurati, non sono degni della loro felicità. Orgogliosi! guardano la miseria per insultarla: pretendono che tutto debba offerirsi in tributo alla ricchezza e al piacere. Ma l’infelice che serba la sua dignità è spettacolo di coraggio a’ buoni, e di rimbrotto a’ malvagi. — E sono uscito cacciandomi le mani ne’ capelli. Grazie a’ primi casi della mia vita che mi costituirono sventurato! Lorenzo mio! or non sarei forse tuo amico; or non sarei amico di questa fanciulla. — Mi sta sempre davanti l’avvenimento di stamattina. Qui dove siedo solo mi guardo intorno e temo di rivedere alcuno de’ miei conoscenti. Chi l’avrebbe mai detto? Il cuore di colei non ha palpitato al nome del suo primo amore! ardì di turbare le ceneri di lui che le ha per la prima volta ispirato l’universale sentimento della vita. Nè un solo sospiro? — ma pazzo! tu t’affliggi perché non trovi fra gli uomini quella virtù che forse, ahi! forse non è che voto nome — o necessità che si muta con le passioni e le circostanze — o prepotenza di natura in alcuni pochi individui, i quali, essendo generosi e pietosi per indole, sono obbligati a guerra perpetua contro l’universalità de’ mortali: — e bastasse! ma guai allorché, volere e non volere, denno pure aprir gli occhi alla luce funerea del disinganno!
Io non ho l’anima negra; e tu il sai, mio Lorenzo; nella mia prima gioventù avrei sparso fiori su le teste di tutti i viventi: chi, chi mi ha fatto così rigido e ombroso verso la più parte degli uomini, se non la loro ipocrita crudeltà? Perdonerei tutti i torti che mi hanno fatto. Ma quando mi passa dinanzi la venerabile povertà che mentre s’affatica, mostra le sue vene succhiate dalla onnipotente opulenza; e quando io vedo tanti uomini infermi, imprigionati, affamati, e tutti supplichevoli sotto il terribile flagello di certe leggi — ah no, io non mi posso riconciliare. Io grido allora vendetta con quella turba di tapini co’ quali divido il pane e le lagrime; e ardisco ridomandare in lor nome la porzione che hanno ereditato dalla natura, madre benefica ed imparziale. — La natura? ma se ne ha fatti quali pur siamo, non è forse matrigna?
Sì, Teresa, io vivrò teco; ma io non vivrò se non quanto potrò vivere teco. Tu sei uno di que’ pochi angioli sparsi qua e là su la faccia della terra per accreditare l’amore dell’umanità, ed infondere negli animi perseguitati ed afflitti l’amore dell’umanità. Ma s’io ti perdessi, quale scampo si aprirebbe a questo giovine infastidito di tutto il resto del mondo?