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ultime lettere d'jacopo ortis | 49 |
biccì sopra una sedia. Com’io la vidi, m’alzai correndole incontro quasi quasi per abbracciarla. — Quanto diversa! contegnosa, affettata, penò a ravvisarmi, e poi fece le maraviglie masticando un complimentuccio mezzo a me, mezzo a Teresa — e scommetto che la mia vista non preveduta l’ha sconcertata. Ma cinguettando e di giojelli e di nastri e di vezzi e di cuffie, si rinfrancò. Io mi sperava di usarle un atto di carità graziosa sviando il discorso da simili frascherie; e perché quasi tutte le giovani le si fanno più belle in viso, e non bisognano d’altri ornamenti, allorquando modestamente ti parlano del lor cuore, le ricordai queste campagne e que’ suoi giorni beati. — Ah, ah, rispose sbadatamente; e tirò innanzi ad anatomizzare l’oltramontano travaglio de’ suoi orecchini. Il marito frattanto (perché fra il Popolone de’ pigmei ha scroccato fama di savant come l’Algarotti e il ***) gemmando il suo pretto favellare toscano di mille frasi francesi, magnificava il prezzo di quelle inezie, e il buon gusto della sua sposa. Stava io per pigliarmi il cappello, ma un’occhiata di Teresa mi fe’ star cheto. La conversazione venne di mano in mano a cadere su’ libri che noi leggevamo in campagna. Allora tu avresti udito Messere tesserci il panegerico della prodigiosa biblioteca de’ suoi maggiori, e della collezione di tutte l’edizioni Principes degli antichi ch’ei ne’ suoi viaggi ebbe cura di completare. Io rideva fra cuore, ed ei proseguiva la sua lezione di frontespizj. Quando Gesù volle, tornò un servo ch’era ito in traccia del signore T*** ad avvertire Teresa che non l’avea potuto trovare, perché egli era uscito a caccia per le montagne; la lezione fu rotta. Chiesi alla sposa novella di Olivo ch’io dopo le sue disgrazie non aveva più riveduto. Immaginerai che cuore fu il mio quando m’intesi freddamente rispondere dall’antica sua amante: È già morto. — È morto! sclamai balzando in piedi, e guardandola stupidito. E descrissi a Teresa l’egregia indole di quel giovine senza pari, e la sua nemica fortuna che lo costrinse a combattere con la povertà e con la infamia; e morì nondimeno scevro di taccia e di colpa.
Il marito allora prese a narrarci la morte del padre di Olivo, le dissensioni con suo fratello primogenito, le liti sempre più accanite, e la sentenza de’ tribunali che, giudici fra due figli di uno stesso padre, per arricchire l’uno, spogliarono l’altro: divoratosi il povero Olivo fra le cabale del foro anche quel poco che gli rimanea. Moralizzava su questo giovine stravagante che ricusò i soccorsi di suo fratello, e invece di placarselo, lo inasprì sempre più. — Sì sì, lo interruppi: se suo fratello non ha potuto essere giusto, Olivo non doveva essere vile. Tristo colui che ritira il suo cuore dai consigli e dal compianto dell’amicizia, e sdegna i mutui sospiri della pietà, e rifiuta il pronto soccorso che la mano dell’amico gli porge. Ma le mille volte più tristo chi fida nell’amicizia del ricco; e presumendo virtù in chi non fu mai sventurato, accoglie quel beneficio che