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46 | ultime lettere d'jacopo ortis |
appunto la vanità della vita; e che nondimeno sì fatta vanità è la sorgente de’ nostri errori, del nostro pianto e de’ nostri delitti.
Pur nondimeno io mi sento rinsanguinare più sempre nell’anima questo furore di patria: e quando penso a Teresa - e se spero - rientro in un subito in me assai più costernato di prima; e ridico: Quand’anche l’amica mia fosse madre de’ miei figliuoli, i miei figliuoli non avrebbero patria; e la cara compagna della mia vita se n’accorgerebe gemendo. - Pur troppo! alle altre passioni che fanno alle giovinette sentire sull’aurora del loro giorno fuggitivo, i dolori, e più assai alle giovinette italiane, s’è aggiunto questo infelice amore di patria. Ho sviato il signore T*** da’ discorsi di politica, de’ quali si appassiona - sua figlia non apriva mai bocca: ma io pur m’avvedeva come le angosce di suo padre e le mie si rovesciavano nelle viscere di quella fanciulla. Tu sai che non è femminetta volgare: e prescindendo anche da’ suoi interessi - da che in altri tempi avrebbe potuto eleggersi altro marito - è dotata di animo altero e di signorili pensieri. E vede quanto m’è grave quest’ozio di oscuro e freddo egoista in cui logoro tutti i miei giorni: davvero, Lorenzo, anche tacendo io paleso che sono misero e vile dinanzi a me stesso. La volontà forte e la nullità di potere in chi sente una passione politica, lo fanno sciaguratissimo dentro di sè: e se non tace, lo fanno parere ridicolo al mondo; si fa la figura di paladino da romanzo e d’innamorato impotente della propria città. Quando Catone s’uccise, un povero patrizio, chiamato Cozio, lo imitò: l’uno fu ammirato, perchè avea prima tentato ogni via a non servire; l’altro fu deriso, perchè per amore della libertà non seppe far altro che uccidersi.
Ma qui stando, non foss’altro co’ miei pensieri, presso a Teresa - perch’io regno ancor tanto sopra di me ch’io lascio passare tre e quattro giorni senza vederla - pur il solo ricordarmene mi fa provare un fuoco soave, un lume, una consolazione di vita - breve forse, ma divina dolcezza - e così mi preservo per ora dalla assoluta disperazione.
E quando sto seco - ad altri forse nol crederesti, o Lorenzo, a me sì - allora non le parlo d’amore. È mezz’anno oramai da che l’anima sua s’è affratellata alla mia, e non ha mai inteso uscire fuora delle mie labbra la certezza ch’io l’amo. - Ma e come non può esserne certa? - Suo padre giuoca meco scacchi l'intere serate: essa lavora seduta a quel tavolino, silenziosissima, se non quanto parlano gli occhi suoi; ma di rado: e chinandosi a un tratto non mi domandano che pietà. - E qual'altra pietà posso mai darle, da questa in fuori di tenerle, quanto avrò forza, tenerle occulte come più potrò, tutte le mie passioni? Nè io vivo se non per lei sola: e quando anche questo mio nuovo sogno soave terminerà, io calerò volentieri il sipario. La gloria, il sapere, la gioventù, le ricchezze, la patria, tutti