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378 | discorso sul testo del poema di dante. |
rotte da chi gli opponeva in tutti i testi, e l’Aldino, — Toglieva gli animai; — e ne’ migliori, e l’Aldino, — più non t’è uopo aprirmi, — «guastandosi fieramente il sentimento se ritegniamo altra scrittura1.» Perchè l’Aldo non decretava il testo da sè, o senza i consigli del Bembo; ma non seguivali, e stava al più de’ pareri dell’Accademia ch’essi avevano fondata allora a promovere la emendazione de’ codici nelle stampe. L’autorità del Bembo ancor giovane, quarantacinque anni innanzi ch’ei fosse Cardinale, non era da tanto che contrappesasse il giudizio di molti.
CCV. Per gli Accademici Fiorentini la Aldina fu pianta della loro Volgata; ma s’indugiarono: e il corso d’altri cento anni addensò oscurità su la storia dell’autografo. Approssimavasi il secolo XVII, quando fra il compilare del Vocabolario s’accorsero che il Poema di Dante era la parte migliore della lingua; non però s’attentavano di citarlo; — «conciossiacosachè e da’ copiatori, e dalle stampe, ed eziandio da’ commentatori, così lacero lo conoscessero, e mal governo, che poco se ne potevano in essa opera acconciamente servire, se prima non cercavano di sanarlo dalle sue piaghe2.» Lo stampatore a ogni modo che lavorava sotto a’ lor occhi contaminò la loro lezione di due centinaja d’errori poscia notati; oltre a molti invisibili, e certi curiosissimi equivoci in grazia di logori tipi; e che furono traveduti per poesia sincera. Nè forse sarebbero stati mai diradati, se il Volpi, leggendo filosofia nell’Università di Padova, non avesse atteso più di proposito ad illustrare Poeti; e conduceva sotto il nome di Giuseppe Comino la stamperia forse benemerita per l’edizioni più emendate in Italia. Ma benchè avesse gli occhi esercitatissimi a scorgere gli errori ne’ torchj, e le dubbie lezioni ne’ testi; ed applicasse inesorabilmente il ferro e il fuoco della chirurgia filologica agli scrittori latini; pur nondimeno non s’attentò di liberare la Divina Commedia d’un unico sbaglio che non fosse di stampatore; — «acquetandosi volentieri al purgatissimo giudizio dell’Accademia della Crusca, la quale nel fatto della Toscana favella come signora e maestra dee venerarsi3.» — Tanto erano domati a ogni genere di servitù. Oggi le accuse sanno, parmi, di servitù che si vendica di tiranni scaduti, — «e che erano inerti ed inetti;» e «che l’esemplare solamente dell’Aldo in buona coscienza seguirono con tutta pace, nè si curarono di scritti o di stampe, se non in que’ pochi luoghi che furono da lor postillati4.» Senz’altro, o questa è calunnia, o l’Accademia tutta intera lavorò un’impostura. Non fu sì devota all’Aldo che