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34 | ultime lettere d’jacopo ortis. |
Padova, dov’io aveva detto altra volta (davvero appena me ne sovviene) di volermi ridurre al riaprirsi della università. Vero è ch’io avea fatto sacramento di venirci; e te n’ho scritto; ma aspettava il signore T***, — non per anche tornato. Del resto, ho fatto bene a cogliere il punto della mia vocazione, e ho abbandonato i miei colli senza dire addio ad anima vivente. Diversamente, malgrado le tue prediche e i miei proponimenti, non mi sarei partito mai più: e ti confesso ch’io mi sento un certo che d’amaro nel cuore, e che spesso mi salta la tentazione di ritornarvi — or via, in somma, vedimi in Padova; e presto a diventar sapientone, acciocché tu non vada tuttavia predicando ch’io mi perdo in pazzie. Per altro bada di non volermiti opporre quando mi verrà voglia d’andarmene; perché tu sai ch’io sono nato espressamente inetto a certe cose, massime quando si tratta di vivere con quel metodo di vita ch’esigono gli studj, a spese della mia pace e del mio libero genio, o di’ pure, ch’io tel perdono, del mio capriccio. Frattanto ringrazia mia madre, e per minorarle il dispiacere, cerca di profetizzare, così come se la cosa venisse da te, ch’io qui non troverò lunga stanza per più d’un mese, o poco più.
Padova, 11 dicembre.
Ho conosciuto la moglie del patrizio M***, che abbandona i tumulti di Venezia e la casa del suo indolente marito per godersi gran parte dell’anno in Padova. Peccato! la sua giovane bellezza ha già perduta quella vereconda ingenuità che sola diffonde le grazie e l’amore. Dotta assai nella donnesca galanteria, cerca di piacere non per altro che per conquistare; così almeno giudico. Tuttavolta, chi sa! Ella sta con me volentieri, e mormora meco sottovoce sovente, e sorride quand’io la lodo; tanto più ch’ella non si pasce come le altre di quell’ambrosia di freddure chiamate bei motti e frizzi di spirito, indizj sempre d’animo nato maligno. Ora sappi che jeri sera accostando la sua sedia alla mia, mi parlò d’alcuni miei versi, e inoltrandoci di mano in mano a ciarlare di sì fatte inezie, non so come, nominai certo libro di cui ella mi richiese. Promisi di recarglielo io stamattina. Addio: — s’avvicina l’ora.
Ore 2.
Il paggio m’additò un gabinetto ove inoltratomi appena, mi si fe’ incontro una donna di forse trentacinque anni, leggiadramente vestita, e ch’io non avrei presa mai per cameriera se non mi si fosse appalesata ella stessa, dicendomi: la padrona è a letto ancora; a momenti uscirà. Un campanello la fe’ correre nella stanza contigua ov’era il talamo della Dea; ed io rimasi a scaldarmi al caminetto, considerando ora una Danae dipinta sul soffitto, ora le stampe di cui le pareti erano tutte