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DISCORSO SUL TESTO DEL POEMA DI DANTE. 341

no non ne udì che la tradizione. Anche la sola , della quale

i palesa d’aver fatto uso, arrivò, non pure scompagnata dal-

.’Opera alla quale pur era autentica prefazione, ma né più mai •ammentata sino verso la fine del secolo xvii *. Fu stampata lai Zeno ^ sopra un esemplare, che dalla latinità del proemio, l’autore incerto, parrebbemi preservato da un contemporaneo lei Poliziano.

CLXXYII. Non però sino al termine della lunga dominazione le’ primi Medici la posterità del Poeta fu mai redenta dal bando li ribellione e d’infamia. Allorché nell’anno 1492, Firenze ri- lomandò a’ Eavennati le ossa di Dante*, la fazione aristocra- ,ica prevaleva nella Repubblica. Cosimo , poi nominato Padre Iella Patria, ne fu cacciato, e vi ritornò dittatore senza altre irmi che di pane alla moltitudine e di carnefici, i quali moz— lavano il capo a’ potenti. L’anno 1404 vide i figliuoli di Lo- enzo, il Magnifico, dichiarati ribelli, e abrogata la sentenza di )ando perpetuo al nome degli Alighieri ^ Adunque, — o i Me- lici tutti s’erano dimenticati dell’autore della Divina Gomme- Ha, — la ragione di giustizia, si tarda a’ suoi discendenti, lontinuava a sgorgare dalle stesse politiche necessità, che sin la principio costrinsero i suoi figli a pubblicarla timidamente n Italia. Le fazioni mutarono nomi, ma non mai le cagioni, né ’armi, né l’arti della rissa civile, la quale in Firenze perpe- uavasi fra poche famiglie che per continuata ricchezza assu- nevano orgoglio e diritto di aristocrazia, e poche altre che ’arrogavano il tribunato della plebe; e in ciò i Medici perse- -erarono di padre iji figlio, finché occuparono la Signoria tanto )iii lungamente quanto più professavano di attenersi alla Chiesa, Ila Francia, e alla plebea Ed era l’originale dottrina de’ Guelfi;

dopo la morte di Dante s’andò corroborando più sempre ne’

unghi regni di Papa Giovanni XXII, e di Roberto di Napoli, 110 Signore ^ sì che divenne costituzione della Repubblica. E )enchè a’ Medici non sovrastassero danni né dagl’Imperadori he allora non si lasciavano mai rivedere in Italia, né da’ Fran- osi scaduti dal Regno di Napoli, dovevano tuttavia astenersi lairannullare atti de’ passati governi popolari , rieccitare me- Qorie sopite, e dichiarare l’innocenza del più fiero fra quanti crittori assalirono mai la Chiesa di Roma, l’indipendenza delle littà democratiche, e i dittatori municipali in Italia. Asse- rnando sufficiente motivo della proscrizione incredibilmente protratta sino alla quinta generazione contro la memoria di


1 Mazzoni, Difesa di Dante, pog. 74, Cesena, 1683.

2 Galleria di Minerva, voi. ili, Venezia, 1700.

3 Salvino Salvini, Fasti consolari dell’Accademia Fiorentina, Introduzione, i7e cita la Lettera del Comune IratUi dagli archivj.

4 Vedi accennato il decreto presso il Felli, Memorie, pag. 41. nota (*); e il lite era riferito nel Magazzino Toscano, voi. I, p. Il,

5 Machiavelli, Storie Fiorentine.

6 Vedi qui dietro, sez. LUI.


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