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DISCORSO SUL TESTO DEL POEMA DI DANTE.

fonti delle sue narrazioni, non avrebbe mai persuaso gli asce- tici a credere, ma le avrebbe meglio osservate; non si sarebbe lasciato traviare sì spesso ; e vivrebbe oracolo, come di certo fu uno de’ tre creatori della filosofìa della storia. Molti oggi s’aizzano a morderlo, anche perchè ha creduto inavveduta- mente a chi scrisse che Dante corse a ricovero al Re Federigo in Sicilia ’. — E qui pure quegli Italiani , o panegiristi fa- natici de’ loro concittadini, o scimie d’ Inglesi, Francesi e Te- deschi, s’adirino, e ascoltino. Ridicolo personaggio è la scimia, e le romantiche più che le altre. Ma chi, ad ogni fallo m che i forestieri, per troppo amore alla letteratura italiana, trascor- rono, insulta a’ Principi della letteratura europea

— Ma ella s’è bsala, e ciò non ode —

non recita egli le parti di bestia spregevole più della scimia? - « I nostri maggiori decretarono alimenti dal pubblico erario » ai cani, tanto che veglino a guardia dell’altare di Giove Tu- » tore del Campidoglio; ma ove s’avventino a chi sacrifica, e » non distinguano gli adoratori da’ ladri, non vuoisi nutrirli, » ma sì flagellarli, tanto che tacciano ’. »

CLXXIII. Dante di rado ferisce individui più d’una volta: e’ sapeva che un colpo riusciva mortale. Ma contro a Filippo- il-Bello, Bonifacio YIIl, e Federigo d’Aragona ritorna sempre più fiero. La ira sua contro al Re Francese pare mista a ter- rore; né lo nomina mai; - e contro al Papa, è voluttà di ven- detta*, — e contro all’Aragonese, è disprezzo. Le ignominie de’ primi due stanno tutte nella Commedia ; bensì all’ ultimo non perdona né pure nelle Opere minori^ dettate con animo più pa ifico. Però dianzi, si dal Convito^ si dal libro su VElo- quenza Volgare , m’ è occorso di addurre passi ingiuriosi al nome di Federigo ^ A lui pensando scriveva;

Degli Angeli, che non furon riltelli, Né fur fefb’li a Dio, ma per sé foro.

Cacciarli i ciel, per non esser mon belli: Nò lo profondo inferno gii riceve, Ch’alcuna gloria i rei avrebber d’elli ».

Se Guido, Conte di Montefeltro, e Guido, Signor di Ravenna» non si fossero, il primo per nojadel mondo, e l’altro per amore di signoria, e l’uno e l’altro per necessità di fortuna, riconsi-


1 Essai sur les moeurs; e presso il Mérian, Mémoires sur Dante , poco dopo il iriii’ipio.

2 Anseribus cibaria pnblice locantur, et canes aluntur in CapitoUo. — Quod si luce quoque canes lalrnit quum Deos salutatum aliquis venerit , opinar iis cruva suffringanlnr, quod acres sint eliam twn quum suspicio nulla sit. — Ci- cerone, Oratio prò Roseto, XX.

3 Qui dietro, sez. CXVIL

4 Sezz. CXIl, ex III, GXXVI.

5 Inferno» IJI, 38, segg.


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