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314 DISCORSO SUL TESTO DEL POEMA DI DANTE.

tace, per ciò che la leggierezza e loquacità si confanno meglio al costume donnesco; ma si, — perchè nelle donne, più che negli uomini la passione d’amore, dov’è profondissima, mo- strasi naturalmente più tragica; — perchè la compassione risponde più pronta alle lagrime delle donne; — perchè, ove Paolo avesse parlato di quell’amore , avrebbe raftVeddato la scena; e, confessandolo, si sarebbe fatto reo d’infamare la sua donna; e, scolpandosi, avrebbe faccia di ipocrita; e lamen- tandosi, s’acquisterebbe disprezzo. Bensì l’anima nostra è ri- volta in un subito al giovine che ode e piange con muta disperazione : —

Mentre che l’uno spirto questo disse, L’altro piangeva. —

11 sublime scoppia da quel silenzio, nel quale sentiamo profondo il rimorso e la compassione di Paolo per lei che tuttavia nella miseria « gli ricordava il tempo felice. »

CLV. Taluni scostandosi dalla chiosa teologica, che il Poeta cadesse tramortito per terrore di avere anche egli peccato sen- sualmente, domandano, se pietà si profonda e tanta passione e delicatezza di stile potesse mai derivare se non dalle rimem- br;inze dell’amore suo tenerissimo ed innocente per Beatrice? ’ Rispondano a questo le donne. Pur senza reminiscenze di in- nocenza e di colpa, bastava la memoria del caso. Avveniva quando il Poeta aveva passq|i di pochi i vent’unni, e la morte degli amanti divenuta poetica per la commiserazione popolare, gli lasciava aifetti pietosi nell’anima sin dall’età più disposta ad accoglierli, ed a serb’irli caldissimi. Vero, o no, che si fosse, narravano che Paolo e Francesca « furono sotterrati con molte » lagrime nella medesima sepoltura*; » e ajipunto in quel- l’anno Dante udiva anche come il conte Ugolino co’ due suoi figliuoli più giovani, e con tre figliuoletti del suo primo- genito, era morto di fame nella torre di Pisa *. Certo d’indi in poi meditò, e forse non indugiò ad abbozzare, e ritoccò poscia le mille volte, e dopo molti anni condusse a perfezione quelle due scene così dissimili, dove né occhio di critico potrà di«!cernere mai tutta l’arte; né fantasia di poeta arrivarla; né anima, per fredda che sia, non sentirla; e dove tutto pare natura schietta, e tutto grandezza ideale. Oltre alla lingua, a’ versi , ed all’armonia; oltre al genio che a modellare le immagini insignorivasi delle forme della scultura, e delle tinte della pittura, cospirano all’effetto potente delle due scene — la realtà e la singolarità degli avvenimenti, — l’impressione che avevano fatta profondissima in lui da gran tempo, — i caratteri


1 Gingnené, Histoire, voi. II, pagg. 3 -51.

2 Boccaccio, Commento a quel lungo.

3 Muratori, AwaU, an. i^.SS; o le Miinoric medile Pesaresi, presso T editoro Roaimo, Inferno, V, 9j, sc