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S’L TESTO DFL POEMA Di DANTfi. 303

— Se non che a tutti questi j ellegrinnggi assegna l’intervallo d’a ni fra la prima sentenza di bando del Poeta, e la morte deiriniperadure, — « per la quale ciascuno, che a lui gene- » ralmentt’ attendeva, disperatosi, e massimamente Dante, senza » anda e di suo ritorno pm avanti cercando, passate l’Alpi di » Al pennino, se ne andò in Romagna, là dove T ultimo suo » di, che alle sue fatiche dovea por fine, 1’ aspettava. Era in » quel tempo Signor di Ravenna, famosis-iima ed antica città » di Homagu’», un nt>b.le cavalieie. il cui nome era Guido No- » vello da Polentn, — il quale seco per più anni il tenne, anzi » sino air iilt.mo dell;» vita di lui ’. »

CXLVI. A questo solamente è da sta^e, — perchè, se non s’uniforma puntualmente, non però fa molto contrasto a ve- runo de’ To.-caui che, o prima o poi, per cent’anni scrissero del Poeta;* — perchè, il Boccaccio parlava co’ figliuoli e i pa- renti di Dante, e fra gli altri con un suo nii>ote di sorella , « uomo idiota, ma d’assai buon sentimento n tturale, e ne’suoi » ragitnamenti e costumi ordinato e landevole: e maraviglio- » samente nelle linearne del viso somigliò Dante, ed ancora 3> ne’la statura della persona ; * » — tinalmeiite, perchè i fi- gliuoli di Dante non si tosto fuori di puerizia, gli furono com- pigni d’esilio, né pot^vagli venir fatto l’andare sempre va- gando con esSi o senz’ essi. Le meno ingannevoli fra le in- duzioni derivano a chi considera quanto i mortali possono fare umanamente, o non possono. Però credo senz’altro che Dante, domiciliato in Ravenn.i, mirando pur nondimeno a conciliarsi i suoi concittadini e provvedere alla sua famiglia, intraprese il Convito intorno al 1313; che da Ravenna sdegnò le condi- zioni indegne di lui proferitegli, tre anni dopo; che poscia andò a Cane della Scala quando v’erano i Signori Ghibellini delle città di Toscana ; * che dimorò poco in Verona, e tornossi in Ravenna; e che dopo d’allora, finché egli ebbe anima, stava vegLando sopra il Poema, aggiungendovi i tratti piiì fieri ai danni de’ suoi nemici, trasfonuendovi le sue passioni e le sue speranze, e credendosi più sempre ordinato all’impresa dal cielo, e certissimo dell’immortalità del suo nome. Però nel libro della Volgare Eloquenza^ che s’ è mostr/ito il più tardo fra 1’ opere sue minori, esclamava: « Quant’ onore questa lingua procacci 7> a chi r è fatto domestico, noi lo sappiamo, che per dolcezza » di tanta gloria, non ci rincresce oggimai dell’ esilio ". » — Davvero le Muse sono aMiChe degli esuli ; • e se Tucidide e


i Loco citato.

I Oni flietro, sez. XI.

3 CommenU) alla Cornmpdia, voi. I, pag». 6?, segg.

4 V(^di «Jh’lro, s.z. LXXXVlU.

5 Quaj’tum sttos familiares gloriosos efficiatnos à>st novimus^ qui, Aujiièdut* tedine gloriae, nostrum exiliUm postergamus. — Lib. 1, 47, pag. 30.

6 PAUarco, opuscolo De Exili», verso il principio.


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