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DISCORSO SUL TESTO DEL POEMA DI DANTtì*

CXXVI. Non SO quant’ io m’ avvicini al latino di Dante, che m’ è duro alle volte. La traduzione pessima, attribuita alTris- sino ’, s’ appiglia superstiziosamente a’ vocaboli, e n’ escono mo- stri. Anche il testo è guasto qua e là, e domanderebbe lezione più giusta. Peggio trattata da’ copiatori , dagli stampatori e da’ critici, e parmi anche dall’Autore , leggiamo l’opera del Convito, il Biscioni la postillò da grammatico senza dar noja al senso comune; e non è poco. Tuttavia lasciò molto da fare a critici che siano più sagaci di lui, e meno dotati d’erudi- zione che di sapere ; e quali sono per avventura que’ dotti vi- venti chiamati « ristauratori del sapientissimo libro; » ’^ - e mi duo!.’ che la loro edizione, se pure è uscita, non siami ve- nuta sott’ occhio, tanto da sincerarmi se v’ è da sperare alcun te-^to antichissimo senza lacune, o modo alcuno di ripararle. Sono più che non pajono, e taluna è patente; ’ onde temo non vengano dall’HUtografo. Dante lasciò stare quell’opera quando appena n’aveva composta la quinta parte; e senza dire dei mille luoghi su’ quali ei non ritoccò la dizione, vi lasciò certa verbosità, non di stile (che il suo robustissimo, com’ei l’ot- tenne dalla natura, non avrebbe potuto mai rimutarlo), bensì di disputazioni, che tornano ad affaccendarsi per questioni de- cise poc’ anzi, e le menano alle medesime conclusioni ; colpa di quella inquietudine che nelle menti vigorosissime agita affol- latamente i pensieri, e li rimodella in più guise, e gli aduna continaamente con varie disposizioni, finché poi l’animo ripo- sato, scevrando gì’ inconvenienti dell’ abbondanza , l’ ingegno soggettasi all’ordine,

Né lo lascia piti ir lo fren dell’arte *.

Pur, imperfetto com’ è, il Convito soccorre a illustrare la parte scientifica della grande opera. Inoltre assenna a non troppo tentare le allegorie ; da che due volte altrettanti volumi, oltre


terrae, si recte signum ad quod tendit inspiciamus, videtur tanlum in obproprium Jlalorum Prìncipum remaiisisse; q>u non heroico more, sed pltbeio, sequu, tur iuperbiam. Siqwdem illuslres Heroes Federica Caesar, et benegenilus ejas Man- fredns, nobililatem ac reclttudintm suae fornia pandentes, donec fortuna per- man it, humann secuti sunt, brutalia dedignanles. Vropter quod corde nobiles, atque gratiarum dotati inhaerere ianlorum principiim ninjestati conati sunt: ita quod eornm tempore qaicqnid excellentes Latinorum nitebaidu , primitus in- fan- torutu coronatmuin aula prndibat. — Quid -lUnc persount tuba novissimi Fede’ vici? quid tinliiinabulum II Karoli? qnd cornua Joliannis , et Azzonis, mar- chion uni polentium-? quid aliorum rnagnalum tibiae? ui^i Venite, camifices: venite, altriplices: vende, avaritiae spctntori’S. — Si-d praestat ad p opositum re- ped(4,re, quam frustra loqni. — Vuigaris iUoquentiae, liD. ì. 12. p;ig.

4 Apo«iu|ij Zeno, Lettere, voi. I, p g (j53, V n zi , ediz. se.Oìidii ; — e la Storia Letteraria di’l Tiraboschi, voi. V, p^a. 48’J. nota (:i). — Uè! testo origi- ii:ile Clio .» p;i}4Ìne l -dizione principe del Corbinelli, Parigi, 1577, rarissimi sino da’ tempi del Zeno, Lettpre voi. IH, p.ig. 410.

2 Lettera al marchese Trivulzio, nella ediz. Udinese della Commedia, 4823.

3 Convito, piig. 10-2; — e la nota del Biscioni.

4 IHirgatorio, XXXIII.


DISCORSO