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26 ultime lettere d’jacopo ortis.

ch’io la siegua, negarmi un bacio e poi improvvisamente attaccarmi que’ suoi labbruzzi alla bocca! Oggi io mi stava su la cima di un albero a cogliere le frutta: quella creaturina tendeva le braccia, e balbettando pregavami che per carità non cascassi.

Che bell’autunno! addio Plutarco! sta sempre chiuso sotto il mio braccio. Sono tre giorni ch’io perdo la mattina a colmare un canestro d’uva e di pesche, ch’io copro di foglie, avviandomi poi lungo il fiumicello, e giunto alla villa, desto tutta la famiglia cantando la canzonetta della vendemmia.

12 novembre.

Jeri giorno di festa abbiamo con solennità trapiantato i pini delle vicine collinette sul monte rimpetto la chiesa. Mio padre pure tentava di fecondare quello sterile monticello; ma i cipressi ch’esso vi pose non hanno mai potuto allignare, e i pini sono ancor giovinetti. Assistito io da parecchi lavoratori ho coronato la vetta, onde casca l’acqua, di cinque pioppi, ombreggiando la costa orientale di un folto boschetto che sarà il primo salutato dal sole quando splendidamente comparirà dalle cime de’ monti. E jeri appunto il sole più sereno del solito riscaldava l’aria irrigidita dalla nebbia del morente autunno. Le villanelle vennero sul mezzodì co’ loro grembiuli di festa intrecciando i giuochi e le danze di canzonette e di brindisi. Tale di esse era la sposa novella; tale la figliuola, e tal'altra la innamorata di alcuno de’ lavoratori; e tu sai che i nostri contadini sogliono, allorchè si trapianta, convertire la fatica in piacere, credendo per antica tradizione de’ loro avi e bisavi che senza il giolito de’ bicchieri gli alberi non possano mettere salda radice nella terra straniera. — Frattanto io mi vagheggiava nel lontano avvenire un pari giorno di verno quando canuto mi trarrò passo passo sul mio bastoncello a confortarmi a’ raggi del sole, sì caro a’ vecchi: salutando, mentre usciranno dalla chiesa, i curvi villani già miei compagni ne’ dì che la gioventù rinvigoriva le nostre membra, e compiacendomi delle frutta che, benchè tarde, avranno prodotti gli alberi piantati dal padre mio. Conterò allora con fioca voce le nostre umili storie a’ miei e a’ tuoi nepotini, o a quei di Teresa che mi scherzeranno dattorno. E quando le ossa mie fredde dormiranno sotto quel boschetto alloramai ricco ed ombroso, forse nelle sere d’estate al patetico susurrar delle fronde si un ranno i sospiri degli antichi padri della villa, i quali al suono della campana de’ morti1 pregheranno pace allo spirito dell’uomo dabbene, e raccomanderanno la sua memoria ai lor figli. E se tal—

  1. Chiamata da’ contadini la campana del De profundis, perchè mentre suona, sogliono recitare questo salmo per le anime de’ trapassati. (Nota dell’editore di Zurigo.)