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SUL TESrrO DEL POEMA DI DANTE. 275

y> bellezza V » - Ma non procede. Indaga alle volte l’etimologia de’ vocaboli, solo per applicarli a filosofiche definizioni. Poscia nel libro, eh’ ei nomina della Volgare Eloquenza , cominciò ad illustrare l’idioma poetico ch’egli creava; e tracciandone i pri- mordi e i progressi, desunse la teoria più sicura della lingua letteraria degli Italiani. Che s’anche il trattato non fos^e stato accennato nell’opera del Convito come da farsi ^ le lodi meno timide a Federigo IT, e le derisioni a’ principi Italiani vassalli della Chiesa, palesano ch’ei lo scriveva da poi che s’era deli- berato di non più patteggiare co’ Gueìfi. A que’ di Firenze nega non pure il privilegio di dare il nome alla lingua, ma la fa- coltà d’arricchirla più facilmente col loro dialetto ’. Qui parmi- dicesse troppo. Ogni lingua che non sia rinfrescata da’ dialetti jèppolari rimanesi pro’iuzione men di natura che d*arte, fred- dissima , mag. strale , retorica, e poco dissimile dalle lingue morte scritte da’ d tti; e l’esperienza di cinquecent’ anni ha manifestato che i dialetti più geniali alla lingun scrirta in Italia sono i Toscani ; e il Fiorentino assai più degli altri. Ma non sì tosto gli Accademici Fiorentini s’aggiudicarono la <1ittatura grammaticale, ed imposero un vocabolario di dialetto, ma non di lingua, queste parole di Dante apparirono oraculi : - « Tutti » i Toscani, e dementi tutti, oggi arrogano al loro Volgare la » dignità dell’Illustre. In sì fatta frenesia si travagliano non » pure i plebei, ma i famosi; » - e nomina Brunetto Fioren- tino, suo precettore. - « Que’ loro scritti , a chi gli assaggi , » sapranno di municipio; non già di corte *. »

CXXIII. Faineticavano, e temo non potranno mai rinsavire, se non s’avvedranno: - che dialetto umano non può conver- tirsi in lingua letteraria se non perdendo molte sue qualità popolari , e accogl endone moltissime letterarie , in guisa che serbando la intrinseca sua natura, trasformi a ogni modo tutte le sue sembianze ; - che le qualità letterarie in ogni lingua sono trasfuse dal concorso degli scrittori d’ogni città, e d’ogni generazione ; on le non è da trovarsi tutta in un secolo solo , uè denominarsi da veruna città: - che l’uso dipende assolu- tamente dal popolo, ma di qual popolo ? e di che tempo ?

Quem pene» arbitrium est et jus et norma loquendi.

Or questo loqubndi, tanto allegato, di Orazio, allude alla lin- gua de’ poeti, scritta sempre , e non mai parlata in terra ve- runa. Però dove ogni uomo ha da scrivere una lingua comune, e ninno parla fuorché il suo dialetto municipale, la signoria dell’uso anche in prosa è creata dal popolo degli autori . e


1 ConvitOt png. 93.

2 Qui dietro, sez XXIX. e sez. CV.

3 De Vulgati Eloqueniia, lib. I, e. 15. pag. Vi, segff.

4 D» Vulgari Eloquentia, cap. 13, pag. n.


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