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Sul testo del poema m dante. 261
assicurare a’ nepoti « l’eredità della pace’,» — era verità che Dante sentiva , vedeva ; e predicava con sapienza , e fortezza degna degli amatori non evirati della loro patria. Fors’era se- vero assai troppo contro a Firenze. Comunque si fosse, questo di Dante non poteva a’ Fiorentini parere amore di Patria. E se, mentre oggi uno li chiama a far pianto su le parole soavi del Convito , un taluno intuonasse la lettera ad Arrigo VII, pro- romperebbero, invece di lagrime, in fremiti; e peggio le donne. E a dirne il vero , a me pare che 1’ amore ardente , inquieto e perplesso degli Italiani per la loro patria sia malarrivato a’ dì nostri, perchè in essi è passione agitata di gelosia, di vanità, e di mollezza, e di querula chiaccliiera femminile.
CXI. La lettera ad Arrigo VII fu scritta in luglio nel 1311, — e allorché Dante aveva da quarantasei anni d’età ; — e se- condo il suo sistema e i computi di Bavle ^, non finivano un- dici mesi da che era uscito di giovinezza. Fosse eh’ ei si desse a dettare il Convito di pianta, o solamente, com’è più verosi- mile, mettesse insieme e allargasse con ordine e stile m.olte questioni, da lui tocche e abbozzate in più tempi diversi, e le intrecciasse al commento delle sue canzoni amorose, — e che infatti pare ideato siccome appiglio a filosofiche disquisizioni d’ogni maniera; — certo è che per quel suo compartimento delle quattro età del mortale, ei sino a tutto l’anno quarante- simoquinto della sua vita tenevasi giovine % onde a volere in- tendere le parole con rigore grammaticale , la giovinezza, già trapassata ^ di Dante mentre scriveva le prime pagine del Con- vito, conviene meno all’anno quarantesimosesto che al quaran- tesimottavo. Ed era il 1313; e Arrigo morì ; l’Imperio restò va- cante ; e il Papa Guascone né più né meno si dichiarò Impe- radore da sé ^. E certo anche la Apologia veduta da Leonardo, ove Dante facevasi m.erito di non essersi ritrovato con l’esercito imperiale sotto Firenze, non fu scritta innanzi che Arrigo mo- risse. Or a che mai le nuove discolpe , se non per aver pace da’ guai dell’esilio? Or lo stesso motivo, e appunto nel tempo medesimo ch’ei non vedeva né l’ombra pure di nuove speranze per le riforme d’Italia, non potrebbe averlo indotto a innestare tra bene e male quella perorazione mansuetissima nel Convito, quand’ ei pur dice ch’era intrapreso appunto in quel tempo? Odo i valenti esclamare che io spargo su la fama di Dante le macchie di poca fermezza e simulazione. Pur si ricordino che io nell’uomo non guardo il Dio. Frattanto essi guardino attorno:
1 Letlera ad Arrigo, sul princìpio.
2 Art. Dante.
3 Vedi le sue parole qui dietro, sez. GV.
4 Pag. 3; e nell’ediz. Zatta, 67.
5 Nos , tam ex mperioritate quarti ad IfTC^rium non est duhium nos habero, quam ex potestaie , in qua, vacante Imperio, Imperatori Sìiccedimus. — Pastf)- rale Clementina, presso il Muratori; e il Continuatore del Baronio , Annali Ecclesiailicij an. 43i2-i314.
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