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SUL TESTO DEL POEMA DI DANTE. 257

dia e concordia de’ testimonj, e de’ loro caratteri, diminuire ed aggiungere fede a’ racconti. E che Dante si scusasse e pregasse scrivendo a molti, e al popolo Fiorentino, n’ è prova che la lunga Epistola letta dall’Aretino, era nota cent’anni addietro al vecchio Villani, che ne cita lo stesso incominciamento ’. - Adunque sono documenti certi di testimonj fidati, e s’ accor- dano all’umana natura generalmente, e allo stato dell’ anima propria degli esuli, e all’impazienza de’ miseri, e all’osserva- zione di Torquato Tasso, giustissima, quant’ è più schietta : - « che Dante non di rado parlava più per affetto che per opi- » nione ’. » Le vicende inquietissime dell’Italia che d’ora in ora animavano violentemente, o sconfortavano a un tratto la sua speranza, gli suggerivano modi di conseguirla, e p’arole or fiere or modeste al popolo Fiorentino. Ma da che non ap- pare indizio veruno eh’ ei s’ offerisse a ricomperare il suo ri- torno alla patria con prezzo vile al suo nome, è pur certo ch’ei sostenne la dignità dell’anima sua. Poi la projjosta ch’ei si umihasse a implorare perdono, e la sua virile risposta frap- posero fra r esule e la repubblica resistenze, le quali non po- tevano abbattersi se non dalla forza *.

CVIII. La rassegnazione a patire calunnie, sentenze capitali, minacce di rogo, indigenza, ed infamia dagli uomini nati nella stessa terra, e non valersi dell’ armi de’ forestieri a reprimerle, pare virtù di pochissimi; e per lo più chi suole farsene me- rito, vantasi d’ essersi volontariamente astenuto da cosa eh’ ei non aveva né mente, né cuore, né forza mai da tentare; e se la tentò, gli andò vana. Che Dante non amasse l’ Italia , chi vorrà dirlo? Anch’ ei fu costretto, come qualunque altro 1’ ha mai veracemente amata, o mai l’amerà, a flagellarla a sangue, e mostrarle tutta la sua nudità sì che ne senta vergogna. Non però giova, né gioverà. Dante fra’ suoi concittadini non abbor- riva se non i tristi ; ma pochissimi a lui non parevano peggio che tristi;^ e i buoni facevansi rari di giorno in giorno, cosi che tre o quattro anni innanzi ch’egli morisse scriveva; che p«r quanto la fortuna 1’ avesse condannato a portare il nome di Fiorentino, ei non voleva che i posteri immaginassero che egli tenesse di Fiorentino altro che l’aria e il suolo ove nacque *. Le leggi, qualunque si fossero, della repubblica; gli uomini che più meno ribaldi le amministravano, e ch’erano eletti dai cittadini ; il popolo tutto che con gh averi e con l’armi, e con ogni pericolo difendeva quegli statuti, quegli usi e quello Stato, costituivano in Firenze, come in ogni terra ed età, ciò che dagli


1 Croniche, loc. cit.

2 Della Nobiltà, dialogo I.

3 Qui dietro, soz. XXXIX.

4 Qui dietro, Fez. LlV, seg. ; e spesso allroTe.

5 Nell’iscrizione alla Lettera Dedicatoria; — e nel titolo da lui destinato alla Commedia, come qui apfiresso.

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