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DISCORSO SUL TESTO DEL POEMA Di DANTE.
» per morte. Ed ivi dice di questa sola speranza con un affetto » COSI maraviglioso, che le sue parole avrebbero forza di mi- » tigare qualunque animo gli fosse più crudo. » — E reca quelle che ora andiamo osservando : — « Isel leggere le quali parole » non può essere che non cada da qualche occhio iiorentino una » lacrima su queste carte ; veggendo il curvo, canuto, misera- » bile vecchio, sull’orlo del sepolcro, tutta abbandonare la fie- » rezza di quell’alto suo animo per lo solo nome della cara sua » patria ’. » — E altrove: — « Agide, mentr’era condotto nlla » morte, chiamava sé stesso e migliore e più felice di coloro » che l’avevano condannato: giudicando più miserabile cosa » la gioja del reo, chela pena dell’innocente. Imjjerocchè l’in- » nocenza non si lascia dentro le mura della patria; e neppure » sull’uscio e nel profondo del carcere; ma la costanza, la » gravità, la fortezza e la sapienza si portano seco nell’esilio » e ne’ ferri e sotto il carnefice. Ch’elle sono virtù che non ri- » cusHno né dolore, nò supplicio. ISè per questo quel nuovo » Socrate terminò d’amare la patria: anzi in lui ne cresceva )) per la negazione la brama: tale essendo il cuore dell’uomo, » che se quello che cerca non può acquistare, se ne accende » ognora m maggiore desiderio. Non trovando adunque altro » modo da vincere non già Firenze, ma quella fazione che l’oc- » cupava, si volse ad Arrigo Imperadore , che per la sua ve- » nuta aveva sollevato tuita Italia in isperanza di grandissime » novità. Con tale ajuto pensò di ritornare al suo tetto. ]\I(i » pure (dice Lionardo Bruno) il tenne tanto la riverenza della » patria, che venendo Vlni’peradore contro Firenze , e ponendosi » a campo presso alla porta, Dante non vi volle essere, secondo » esso scrive ^. Perche egli voleva ricoverare la patria , non » trionfarla coll’arme degli stranieri ^. »
CHI. Agide, Socrate, e nomi eroici sono ottimi a farti mal - conosceie Dante; uomo d’altra vita, d’altra anima, e d’altri tempi, singolarissimo della nostra specie , dotato in sommo grado di mente, e di forza veemente a sentire , e d’ indomita perseveranza a operare. Vuoisi guardarlo bensi fra’ mortali di- versi dal gregge infinito degli individui, ne’ quali non si può studiare la razza d’Adamo e non disprezzarla; non però con- templarlo con occhi attoniti ; né paragonarlo agli altri raris- simi che gli erano affatto dissimili; nò spogliarlo de’ suoi di- fetti, a rivestirlo degli altrui meriti. Chi gli sottrae qualità tutte proprie dell’indole sua, della terra, e del secolo dove nacque, a far si ch’egli senta, pensi ed operi e abbagli con le virtù de’ mondi ideali, facciane un Dio ; e se 1’ adori. Ma non
{ Perlìcari, Dell’ Amor patrio di Dante e del suo libro intorno al Volgare Elo- quio. ^ XV, ijp.gg. 57, 58, ed. fli Èiilano.
2 Forse nella sinarrita sua Storia de’ Ghibellini. — Pììrticari.
3 Perticar), Dell’Amor Patrio, l Xll-XlU.
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