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DISCOIISO SUL TESTO DEL POEMA DI DANTE.

Ed io a lui : Forese, da quo! di. Nel qaal mutasti mondo a miglior vita, Cinque anni non son volti insino a qui.


La faccia tua eh’ io lagrimai già morta, Mi dea di pianger mo non minor doglia ’.

il rito delle lagrime de’ congiunti su la faccia de’ morti anti- L-hissimo, ed oggi non celebrato che ne’ funerali de’ poveri, era religione a que’ tempi per gli uomini d’ogni stato. Tutto il dramnìa fra Dante e Forese, le loro accoglienze, e le loro escla- mazioni,

dolce frate, clic vuoi tu eh’ io dica ?

e il loro congedo, spirano affetti domestici, e le memorie e il desiderio della consuetudine antica : -

Si lasciò trapassar !a santa greggia Forese, e dietro meco sen veniva Dicendo: Quando Pia ch’io ti riveggia?

Non so, rispos" io lui, quant’io mi viva; Ma già non fla il tornar mio tanto tosto, Ch’ io non sia col voler prima alla riva.

Però che il luogo, u* fui a viver posto, Di giorno in giorno più di ben si spolpa, E a trista riiina par disposto.

E qui rattristandosi su le sciagure della loro patria, e su l’uomo « che n’aveva più colpa, » diresti che temendo d’af- fliggersi troppo e di dire troppo, si dividano subitamente ; e Forese partendosi:

A te Ila chiaro Ciò che il mio dir più dichiarar non puote; Tu ti rimani omai, che il tempo è caro.

Pur quanto ravvolge d’oscurità misteriosa l’ira sua contro alla memoria di Corso Donati e degli uomini viventi di quel casato, tanto più si compiace de’ meriti delle loro donne. Non introduce nel suo Poema, da Beatrice in fuori , veruna fan- ciulla che non sembri meno amabile di Piccarda; né moglie veruna che nelle virtù conjugali pareggi la vedova di Forese : -

La Nella mia col suo pianger dirotto. Con suoi prieghi devoti e con sospiri,

Tant’è a Dio più cara e più diletta La vedovella mia che molto amai. Quanto in bene operare è più soletta »,


1 Purgatorio, XXIII, XXIV.

2 Iv , versi, 85, segg.