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SUL TESTO DEL POEMA DI DANTE. 227

quali, a quanto intendo, quel documento è serbato, si merite- ranno ringraziamenti se mai lasceranno incidere in rame la soscrizione di Dante, tanto che s’abbia un saggio, di pochissime sillabe non foss’altro, de’ suoi caratteri. Frattanto l’usato pre- dominio della Chiesa su le repubbliche, provocato più sempie da’ loro dissidj e giustificato dalla concordia che i sacerdoti professavano di ristorare fra i popoli, aveva condotto in To- scana un Cardinale d’animo ghibellino’. Esortò invano, poscia ammoni i Fiorentini di pacificarsi a’ loro esuli; finalmente pro- vandosi di costringerli, fu vilipeso e percosso come un ribaldo, e indusse il Papa a punire la disobbedienza con l’armi d’alcuno città vicine, e acquistare ad un tempo signoria più sicura so-- vr’esse tutte per mezzo della vittoria ’. Fu guerra prolungala per più di tre anni da zufte ler lo più senza sangue, e castel- lucci tolti e perduti, e con i)oca gloria a’ capitani pontificj elio un dopo l’altro benedicevano quelle masnade. Fosse che Dante, dagli eventi di quella guerra, o dalle congiure ordite da’ capi di parte, s’aspettasse di ripatriare, ei nel corso del 1307 s’era ravvicinato a Firenze. Il suo nome sta scritto con altri venti in uno stromento in forza di che i più agiati fra gli esuli si obbligarono di ristorare la casa degh Ubaldini di ogni spesa, alla quale s’avventurasse per vincere la prova di liberare Fi- renze dal governo de’ loro nemici^. Quindi forse Secco Polen- tone e dopo di lui Giannozzo Manetti, biografi del Poeta più tardi di pochissimi anni a Leonardo Aretino, o congetturarono, riseppero dalla tradizione, che Dante ottenesse sussidj d’armi da Cane della Scala per quelTimpresa ^ Cane viveva più da -compagno che da suddito di suo fratello Alboino; e i fanciulli d’indole leonina costringono i loro custodi a obbedirli : tutta- via né la Signoria di Verona era ancora potentissima d’armi: né egh aveva più che quindici anni d’età; né Secco Polentone (quanto al Manetti so peggio) scrisse in concetto d’uomo si ne- mico della bugia che si guardasse dal ricopiare ogni cosa da- gli altri tanto da impinguare volumi;^ né finalmente so clie quel fatto sia stato mai raffermato. Onde restisi dove sta, poi- ché Dante non ne lascia indizio in alcuna delle opere sue; anzi nella sua Lettera al Signor di Verona ei ne tace.

LXXXIV. Kon molto dopo la traslocazione della sede Apo- stolica in Francia, le minacce de’ Guelfi fiorentini sotto Benc-


1 Gio. Villani, Uh. Vili, 69. Dino Compagni, lib. Ili, p. 56, seg.

2 Ivi, nel progresso de’ passi citati.

3 Danlcs Alleihierii (oltre molti altri); i%ti omnes , ti quilihd eorum prò se, omni deliberalione pensata, prorniserunt et convenerunt, etc. omnia damna, in- teressa, et expensas resliiuere facete, et emendare de eorum propriis honis, que vel quas predictus Ugolinus, vel ejiis consortes incurrerent seu reciperent iam in bonis temporolibus, quam etiam in beneficits ecclesiaUicis, occasione novitatis sm queoe facte vel faciende. — Dall’Archivio di Firenze, felli, pag 98.

A Presso il Tlraboschi, Storia, voi. V, pag. /?83. 5 Paolo Cortese, De hominibus doctii, pag. 16.


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