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222 DISCORSO SUL TESTO DEL POEMA DI DANTE.

Dedicatoria da’ versi? — « La fama delle azioni vostre che im- » pone agli uni di temere l’imminente sterminio, e agli altri » d’ esaltarsi a speranze per la loro posterità, mi pareva mag- » giore del vero, e dissimile da qualunque impresa sia stata » lodata mai ne’ moderni. Perciò a liberare 1’ animo mio dalla » lunga perplessità, venni in Verona a ottenere fedele testimo- » nianza dagli occhi miei. Le magnificenze udite da per tutto, » io le vidi; vidi le beneficenze, e le toccai; le lodi che io so- » spettava soverchie, m’apparvero minori de’ fatti; e da che » dianzi la vostra fama mi fece ossequioso e benevolo a voi , » l’esperienza al primo vedervi, mi vi ha fatto devotissimo » amico. Wq mi credo reo di presunzione, e molti per awen- » tura vorranno incolparmene, s’io m’assumo il nome di » amico vostro ; quando fra gli uomini disuguali di condi- » zione, il sacramento dell’ amicizia non è né meno santo, né » men utile, né men caro ; e chi ben guarda, s’ accorge che i » personaggi preminenti il più delle volte si stringono a’ loro » minori. » — Non ho tradotto letteralmente; e l’originale è qui a piedi ’.

LXXX. Ove questa lettera, come che senza data di luogo o d’anno, sia raffrontata ai versi e a quel tanto , e non più , di certissimo che possiamo appurare intorno a’ pellegrinaggi di Dante dopo l’esilio, forse che le molte opinioni si raccoglie- ranno intorno a quest’una: - che Dante non si accostò a Cane della Scala, se non assai tardi ; e non gli comunicò se non forse pochissima parte della Commedia. - Ma importa di non am- mettere date d’anni se non le innegabili ; né intendere le pa«  role di Dante oltre il letterale significato ; né addurre avven> menti narrati da testimonio veruno che non abbia parlato ccn Dante; né documenti, da que’ pochissimi in fuori d’irrefraga- bile autorità, scritti da notari pubblici e attestati da più d’uno che gli abbia veduti, e ricopiati letteralmente e stampati , ed esistenti tuttavia negli originali, né invahdati mai fino ad oggi. Nel mese di aprile del 1300, mentre il Poeta viaggiava fra’ morti, e udì annunziare le sue vicine disavventure , e la


1 Inclytae vestrae magnificentiae laus quam fama vigil volitantei’ disseminai, sic distraliit in diversa diversos, ut hos in spe suae posteritoUs attoUal , hos in exlerminii dejiciat terrorem. Hoc quidem praeconium, et facta modernorum ex- superans iamquam veri essentia latius arbitrabar , alii superfluum Vermi ne diuturna me nimis incertitudo suspenderet, velut Amtn Regina Hyermalem pe- iiit, velut Pallas petiit Heliconam, Veronam petii, fidis oculii,discursurus. Audita ubique magnalia vestra, vidi : vidi beneficia simul et tetigi: et quemadmodnm prius dictorum suspicabar excessum, sic posterius iosa facta cognovi. Quo fa- ctum est, ut ex auditu solo, cum quadam. animi suhjectione benevolus prius ex- titerim: secundum kxvisu primo» dii, et devotissimns et amicus. Nec reor amici nom,en assumens, utnonnuUi forsilan objectarent, reatum praesumpUonis in currere, cum non minus dispares connectantur , quam pares amiciliae sacra- mento, nec non delectabiles, et utiles amicilias inspicere libeat illis. Persaepius inspicienti patebit, praemineutes inferioribus conjugari personas. — Opere, voi,. V, |)a-i. 469i ediz Zatt;».


DISCORSO