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DISCORSO SUL TESTO DEL POEMA DI DANTE.
visibili quanto più sono state nudrite da lungo tempo per forza d’educazione o per abitudine naturale d’una passione. A taluno parrà che la certezza de’ fatti storici appena meriti la fatica di andare spiando nell’ animo di quanti gli allegano; né così pure s’ arriva a vederli in tutto sinceri. Ma la fatica vale ad un’ ora a distinguere i caratteri degli storici, e le infermità dell’umana natura ch’essi guardano attentissimi in ogni mortale, e si stu- diano eh’ altri non possa mai discernerle in essi ; ond’ anche per questo conto tutto lo studio delle loro intenzioni non è perduto.
LXXVIII. Le provocazioni del Signor di Verona, e le acri ri- sposte di Dante, io le presumerei vere in parte, quand’anche non fossero state mai ricordate. La natura nega all’uomo po- tente e al grande ingegno di vivere pacificamente sociabili ; e la loro guerra è perpetuata dalla umiliazione reciproca. Bensì ogni qual volta anche il bisogno d’ajuto è reciproco, la guerra rimanesi tacita. Che se scoppia alle volte, e non per tanto non rompe la loro confederazione a un’impresa dalla quale pendono tutti i desideri della loro vita , il rancore (purché la tempra degli individui il comporti) si sta quasi sempre dissimulato. Dell’indole di Cane della Scala, so poco; ma Dante era anima da governare gì’ impeti subitanei. Pensava, immaginava, vo- leva e sentiva sempre ler forza di calcoli e di sistema preor- dinato. Operava inflessibile ne’ proponimenti, perseverante, e de- terminato a posporre le vendette immature alle tarde e certis- sime. Al Poeta bisognavano armi di Ghibellini, e vittorie che lo restituissero alla sua patria; e Cane della Scala viveva prin- cipe vittorioso de’ Ghibellini : ma in tempi che gli eserciti non erano numerosi né stabili, s’ adunavano per lo più di turbe in- sorte a combattere per pochi giorni, e tornarsi all’aratro e alle loro case. Allora di quelle insurrezioni popolari, la Chiesa e tutta la setta guelfa potevano far più capitale che i Ghibel- lini: sì perchè molti de’ Guelfi si governavano a repubbliche democratiche ; e sì perchè i Papi facevano esecutore delle sco- muniche il popolo; né pare che a’ frati rincrescesse mai la fa- tica di andar predicando a sommovere moltitudini. Però gli scrittori non erano inutili federati a’ condottieri de’ Ghibellini, e opponevano dottrine a dottrine, e parole a parole. L’eloquenza e la penna più che gli eserciti avevano guerreggiato per Fe- derigo II, che sarebbe stato straziato a furore di popolo , se Pietro delle Vigne perorando a’ Padovani, non gli avesse dis- suasi dalla ribellione, menti-e che i sacerdoti in tutte le chiese Ja santificavano in nome del Sommo Pontefice ’. Quanti dotti accorrevano alla corte di Cane della Scala trovavano stanza , perché con la sua naturale generosità cospiravano l’ambizione e la ragione di Stato. I letterati essendo ancora rarissimi, vi-
i Rolandinus, De factis in Marchia Tarvisina, lib. IV, 9, 10.