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SUL TESTO DEL POEMA DI DANTE. 213

pur taluno, avevano esaminato, e ognuno citavale per genuine, si stavano argomenti sicuri da qualunque risposta; e apocrife, come pur erano, davano la mentita alle parole della lettera : Io mi sono guardato sempre dal leggere i versi di quel Poeta. Le biblioteche illustri in Firenze parevano alleate alla ponti- ficia a distruggere non pure l’autenticità della lettera , ma di tutta quella edizione delle Opere latine del Petrarca, foggiate - ma come? - e da chi? - e per quali umane ragioni? due secoli addietro - non fu mai chi credesse prezzo del tempo di sincerarsene. Così anche l’abate De Sade stava in forse ; e ben- ché egli avesse citato un’epistola del Boccaccio, pubblicata pur essa da lunghissimo tempo, e che aveva provocato la lettera del Petrarca, venne dissimulata o sprezzata, a fronte d’un Pro- logo del Petrarca alla Commedia, veduto nella Riccardiana dal Pelli ’, e d’un commento riscontrato nella Medicea, e stimato lavoro del Petrarca da un uomo, il quale diresti che non abbia avuto stanza né letto se non negli archivj, e che per conver- sare co’ Fioientini di tre secoli addietro, conoscesse appena di nome i viventi *. Tanfi e si fatti furono gì’ impedimenti - e molti rimangono tuttavia - che la vanità di possedere e d’aver veduti tesori occulti nelle biblioteche oppone a studiare la no- stra natura negli uomini grandi. Taccio della disperazione che la moltitudine degli errori pianta nell’animo di chiunque vuol far capitale del poco che v’é di vero e d’utile nella storia delie nazioni.

LXXII. Se i tempi, alterando costumi e opinioni, hanno scemato la venerazione alle inezie, e indotto gli Italiani a studio più filosofico su le loro storie letterarie, cominceranno a togliere dalle tenebre parecchi di que’ manoscritti, o a non più citarli prima che ogni uomo possa discernere liberamente 1 sinceri dai falsi. Forse i pochi utili che si giacevano confusi a torto con gli altri daranno ajuto sicuro alla storia ad un’ora e alla critica, caso che assennino una volta noi tutti di far poco conto di carte inedite e non vedute che da professori d’ erudizione. In tanti lavori del Petrarca intorno alla Divina Commedia, innanzi che fossero riconosciuti per sogni diploma- tici d’ antiquari, aggiungevano fede all’aneddoto ch’egli narra di Dante, caduto di grazia alla mensa signorile in Verona, per r impazienza della sua lingua. Lo hanno negato taluni, ma le ragioni pur non reggevano a chi allegava i commenti, che, li- berando d’ ogni sospetto d’invidia il Petrarca, esaltavano al- l’ ammirazione per la generosità dell’ animo suo. Però il Ti- raboschi, il quale giura in tutte le sue parole, e s’ appiglia a tutti espedienti che possano adonestare induzioni a danno di Dante, riferisce 1’ aneddoto più circostanziato che non 1’ ab-


1 Memorie per la Vita di Dante, pag. 13 >, nota (2).

2 Mehus, Vita Ambrosii Camaldiilensis, pag. 137, pag. 80