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DISCORSO SUL TESTO DEL POE lA DI DANTE.
Roberto invecchiare con nome di Salomone; e il Papa Caor- sino, minacciato di sovrastante rovina dagli Apostoli nel Poe- ma ’, vivere novantanni vendendo 1’ Italia alle rapine de’ fo- restieri, e dissanguando tutti i popoli cristiani con simonie temute fino allora da’ più avidi fra’ Pontefici *. Tali condizioni pendevano; e Dante, pur aspettandone di propizie, dolevasi delle presenti; e di certo la impazienza del desiderio dovea pur fargli temere alle volte quelle che avvennero. Adunque chi crederà ch’ei, temuto com’era da’ suoi concittadini , ed esoso natural- mente a ogni guelfo in Italia, sfidasse l’odio di quanti Guelfi e Ghibellini feri nel Poema , e lo pubblicasse imperterrito , e non toccato mai da veruno? Ma e quando? Forse ne’ molti nnni mentre ei « senza vela, senza governo, portato a diversi » porti e foci e liti, andò quasi mendicando per tutta Italia? * » forse la fama della sua grand’opera letta da tutti gli uomini il proteggeva? Non so se sì fatta difesa abbia mai protetto che i morti. Milton, simile quasi in tutto e d’ingegno e di fama e di anima a Dante, si fece morto; mandò la sua bara in pro- cessione al cimitero, e fuggì a’ vendicatori di Carlo I *. Molti altri poeti, non che meritarsi mai protettori per via di satire, hanno penato sempre a trovarne a prezzo enorme di panegirici. Orazio mordeva gl’inermi ; e per eludere le leggi contro a’ li- belli infamanti, allegava ch’Augusto lodava i suoi versi *. Di questo esempio si fecero testo, non sono ancora quattordici anni, certi filologi in un giornale letterario di corte, a provare : — che chiunque disprezza le inezie de’ bibliotecarj, lettori di univer- sità e di accademie, appone ignoranza al principe che li pro- tegge, e si fa reo di lesa maestà ^ I detti e i fatti pregni di viiissima crudeltà non andrebbero mai ricordati , se talor non parlassero per volumi di annali a insegnare, come il ricorso di simili circostanze adonesti le ignominie della servitù nelle let- tere delle nazioni. Dante in nn poeta men cortigiano trovò ch’esce frutto migliore dalle censure della vita de’ grandi, per- chè standosi più cospicua e meno punita, viene piiì presto ve-
? Paradiso, XXVII.
2 Muratori, Annali. 133*.
3 Convito, pag. 71.
4 Satire lib. II, sat. 1, W. 80-87,
5 Ciinningham, History of Great Britain, voi. I, pag. 14.
6 Vedi il Poligrafo; Milano, 1811, 1^1-’. Del fascicolo per l’appunto non mi sovviene. L’articolo è sottoscriito T. Allega certa interpretazione , delle solite del Bentlejo, a rispondere a ehi aveva rimproverato ad Orazio d’ avere vitu- perato Labeone ch’era di parte repubblicana , afflitta allora , ed esosa ad Au- gusto. * Dalle parole Insanior Labeone, e alcune simili a queste. Dotti eletti dal loro Sire, per entro l’articolo, non sarà difficile a ritrovarlo e raffrontarlo alla dottrina citata.
• Foscolo fece ad Orazio questo rimprovero, n«lla sua Orazione Inaugurale agli studj, e nel Poligrafo scriveano Urbano Lampredi , direttore , e compagni , nemioiteijBil * Fo* Boolo. — Vedi Accademia de’ PUàgorici, nel voi. IL
DISCORSO