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SUL TESTO DEL POEMA DI DANTE. 171

tato delle cose del Cielo e di quelle della Terra. E dice nemico a’ lupi, cioè combattitore e pugnatore della giustizia contra i viziosi rubatori. E dice, con altra voce , ed è a significare che ne uscì giovane, e rientreravvi , secondo che credea , vecchio; ovvero, cosi come io mi uscii infamato , così vi ritornerò con fama pura, e così come v’ebbi il nome al battesimo, così v’avrò quest’altro di poeta ’. — Dopo queste prime , le dichiarazioni tutte degli interpreti di generazione in generazione per cinque- cent’ anni consentono, da pochi divarj in fuori , nella seguente parafrasi dell’ Editore Livornese. — Se mai avverrà ctie per mezzo di questo mio sacro poema al quale il Cielo e la Terra han somministrata sì vasta insieme e sì laboriosa materia, che per la fatica, che da più anni sostengo in comporlo, già ne son divenuto scarno e macilento , se avverrà , che per questo mezzo io trionfi di quella crudeltà, che mi tien lungi da quella bella mia patria, ove io innocente, e della giustizia amicò, per parte mia quieta e pacifica vita sempre condussi, nemico solo di quelli iniqui prepotenti, che tuttora quella bella città op- primono, con altro grido omai d’ingrandita fama, e con divise non più di perigliosa civil magistratura, ma d’illustre e rino- mato poeta, vi tornerò glorioso , e su quel sacro Fonte istesso ove io fui battezzato, prenderò l’onore voi poetica laurea ^. —

XXXVI. Non però veruno ha mai sciolto né tocco il modo : — come Dante sperasse di trionfare per mezzo del suo Poema della crudeltà che gli inibiva i suoi tetti, e pur professandosi implacabile a’ guelfi che l’avevano cacciato di Firenze, e dove tuttavia prevalevano, disegnasse di ritornarsi pacifico fra ne- mici, senza ambizione che d’ una corona d’ alloro. — Il Lom- bardi, perspicacissimo fra gli interpreti , risponde incerto : — può intendersi, che sperasse potersi, a riguardo dell’applaudito Poema , piegar gli animi de’ suoi concittadini a richiamarlo dall’esilio ; e può intendersi, che ciò sperasse dal patrocinio di Qualche potente Signore, e spezialmente di Can Grande, signor di Verona; vedi la lettera con cui esso Dante dedica a Can Grande questa sua terza Cantica *. — Ma quant’era applaudito un Poema tutto in vituperio de’ suoi concittadini, tanto meno l’autore doveva aspettarsi indulgenza: e a meritarsi patrocinio da’ principi guelfi, ei doveva rinnegare quanto aveva mai scritto, operato e pensato; né d’altra parte i Fiorentini avrebbero po- tuto arrendersi all’intercessioni d’alcuno de’ potenti fra’ ghi- bellini, se non se — o rinnegando la Chiesa e Roberto di Na- poli , che li dominavano — o soggiacendo alla vittoria e alle leggi de’ ghibellini. Se a questi minimi termini avesse il Lom- bardi ridotte le due dichiarazioni, avrebbe senz’ altro sdegnata


1 Estratti dal Commento dell’Anonimo, nell’edi/. Fiorentina, Paradiso, XXV, vors. 1-9.

2 Ediz. del Poggiali, voi. IV, pag. 414.

3 Lombardi, a quftl canto, vers. 1-4.


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