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discorso sul testo del poema di dante. |
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avesse fatto alcuna fine, nè trovandosi per alcun modo i
canti residui; essendo generalmente ogni suo amico corruccioso,
che Iddio non l’aveva almeno al mondo tanto prestato,
che egli il piccolo rimanente della sua opera avesse potuto
compire, dal più cercare, nè trovandoli, s’erano disperati rimasi.
Eransi Jacopo e Pietro, figliuoli di Dante, de’ quali
ciascuno era dicitore in rima, per persuasione d’alcuni loro
amici messi a volere, quanto per loro si potesse, supplire la
paterna opera, acciocchè imperfetta non rimanesse. Quando
a Jacopo, il quale in ciò era più fervente che l’altro, apparve
una mirabil visione, la quale non solamente dalla stolta presunzione
il tolse, ma gli mostrò dove fossero li tredici canti;
li quali alla Divina Commedia mancavano e da loro non saputi
trovare. Raccontava un valentuomo Ravegnano, il cui
nome fu Pietro Giardino, lungamente stato discepolo di Dante,
che dopo l’ottavo mese dopo la morte del suo maestro, era
vicino una notte all’ora che noi chiamiamo mattutino, venuto
a casa il predetto Jacopo, e dettogli: — sè quella notte,
poco avanti a quell’ora, avere nel sonno veduto Dante suo
padre vestito di candidissimi vestimenti e d’una luce non
usata risplendente nel viso, venire a lui, il qual gli pareva
domandare: se egli viveva? e udir da lui per risposta di sì:
ma della vera vita, non della nostra. Per che oltre a questo
gli pareva ancora domandare: se egli aveva compiuto la sua
opera anzi il suo passare alla vera vita? e se compiuta
l’aveva, dove fosse quello vi mancava, da loro mai non
potuto trovare? A questo gli pareva la seconda volta udire
per risposta: sì, io la compiei; e quinci gli pareva che lo
prendesse per mano, e menasselo in quella camera ove era
uso di dormire quando in questa vita viveva; e toccando una
parete di quella, dicea: egli è qui quello che tanto avete cercato;
e questa parola detta, a un’ora Dante e il sonno gli
pareva che si partissono. Per la qual cosa affermando, sè
non esser potuto stare senza venire a significargli ciò che
veduto aveva, acciò che insieme andassero a cercare nel luogo
mostrato a lui, il quale egli ottimamente avea segnato nella
memoria, a vedere se vero spirito o falsa delusione questo
gli avesse disegnato. Per la qual cosa, restando ancora
gran pezzo di notte, mossisi; ed insieme vennero al dimostrato
luogo, e quivi trovarono una stuoja confitta al muro,
la quale leggermente levatane, vidono nel muro una finestra
da niuno di loro mai più veduta nè saputa che la vi fosse;
ed in quella trovarono alquante scritture tutte, per la umidità
del muro, tutte muffate e vicine a corrompersi, se guari
state vi fossero; e quelle pianamente dalla muffa purgate,
leggendole, videro contenere li tredici canti tanto da loro
cercati. Per la qual cosa lietissimi, quelli riscritti, secondo
l’usanza dello autore, prima li mandarono a Messer Cane
della Scala, e poi alla imperfetta opera li ricongiunsero, sic-