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150 discorso sul testo del poema di dante

la cacciata del poeta in Firenze. Nè la Storia delle Repubbliche, comechè letta ed ammirata dagli Italiani, può al parere de’ loro eruditi antiquari competere d’autorità con que’ tanti volumi, dove con apparato di disquisizioni laboriosissime mille minime date sono scoperte e assegnate a mille minimi fatti. Autori di volumi sì fatti possono impunemente sbagliare e sfidare l’altrui pazienza a loro agio; da che rari, se pur taluno, vorranno leggerli e rileggerli attentamente e chiamarli ad esame. Invece negli scrittori luminosi e facondi gli errori sono facili a scorgersi; per ciò, quantunque il Boccaccio nella Vita di Dante manifesti più mente che in tutte le altre opere sue, le poche cose nelle quali ei talor s’ingannò, bastarono a levare ogni fede a qualunque parola di quel primo e forse più degno storico del poeta. Bensì il Pelli per lungo circuito di contraddizioni, ripetizioni e quistioni e soluzioni che a un tratto si risolvono in nuove quistioni, oltre a quelle tante rappezzature chiamate note, e note alle note, e più ch’altro con citazioni d’autorità senza fine, si procaccia credenza. Riversando sopra i lettori il disordine, il gelo e le tenebre della sua mente, riesce ad intorpidirli; nè presumono che uno scrittore sì scrupoloso e indefesso a discernere la verità, possa averla mai traveduta. Però e dotti e mezzidotti si sono sempre fidati a raccogliere da quel libro la parte maggiore e la più sicura degli aneddoti, delle date e de’ documenti atti ad illuminare la vita e il poema di Dante. Ed io era uno de’ molti, finchè tale che è dotato di più acume e pazienza m’additò come il Pelli, dopo avere ripetuto con Dante che Beatrice gli era minore d’un anno, procede a ogni modo a nuovissimi computi, e vi ritorna in diversi luoghi, e vi s’intrica in guisa ch’ei trova Dante, or coetaneo di Beatrice, or più vecchio e più giovane talor d’un anno, talor di mezz’anno, e talor d’un unico mese1. Così per troppa vanità di appurare date superflue, molti scrittori pervertono quel vero che è necessario alla storia e sufficiente alla critica letteraria.

XVIII. Nè il Pelli, nè altri meritamente più celebri, lessero attenti il poema di Dante, nè forse il percorsero mai dal primo all’ultimo verso; da che veggo indizj evidenti ch’essi guardarono solamente a que’ passi i quali suggeriscono date, nè li hanno raffrontati con altri che avrebbero fatto risaltare in un subito le fallacie de’ computi. Verso la fine del suo viaggio nel Paradiso, Dante ode presagire le infelici riforme d’Arrigo VII in Italia, e vede un trono apparecchiato per l’anima coronata; onde il Pelli desume, che Dante desse l’ultima mano alla sua fatica innanzi che le cose d’Arrigo VII avessero cominciato a declinare, perchè altrimenti non si vedrebbero negli ultimi canti della sua Commedia le tracce di quella speranza, la quale aveva concepita nella di lui venuta in Italia2. Il Tiraboschi, più eser-

  1. Memorie per la Vita di Dante, ediz. Zatta, pag. 65, e la nota 3, 4, e altrove.
  2. Memorie per la Vita di Dante, pag. 134.