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discorso sul testo del poema di dante. 143

tardissimi tutti. L’emendazione de’ testi antichi dipende sempre dall’appurare non questioni retoriche e grammaticali di stile e di lingua, bensì la questione storica, se l’autore abbia veramente scritto come si legge, o com’altri propone che s’abbia a leggere; e l’autorità sta tuttaquanta ne’ codici antichi; è dunque da vedere e di quanta antichità siano, e di che origine prima, e quando e come originassero dagli autografi. Il più antico, attribuito all’anno 1343, e a Filippo Villani1 lettore pubblico della Commedia in Firenze, sarebbe posteriore appena di ventidue o ventitre anni alla morte del poeta. Ma da che pure è storia documentata, innegabile, che Filippo non fu eletto alla cattedra innanzi che passasse tutto il secolo XIV, e più dopo,2 — è da dire ch’ei cominciava a spiegare il poema da forse settanta anni dappoi che n’aveva trascritto la copia, venerata oggimai da’ filologi tanto per garrire chi non ne fida3. Or la copiava egli da bambino? da fantolino? da garzonetto? Poniamolo adulto, e al più di venti anni; e così è pure da dire che i Fiorentini si elessero un professore decrepito di novanta. Nè per esempi, non so se spessi o credibili, della longevità d’intelletto in alcuni mortali, quel codice parrà copia fedele, poiché è brutto di cassature e varianti e correzioni d’ogni maniera. Forse ove fosse stampato paleserebbe — e così avviene del codice del Vaticano; adorato da prelati morti e viventi4 — che i testi nell’oscurità d’archivj risplendono come lucciole che a dì chiaro tornano vermi.

XI. Or n’esce uno inaspettato, autorevole, dal Friuli, a distruggere gli altri tutti , e fare le veci di autografo , dottamente illustrato sì che ti sembri di rivederlo sulle ginocchia di Dante. Fu ritrovato — ma nè del come o del quando è dato ragguaglio nè cenno — in una piccola città dove i patriarchi antichissimi d’Aquileja avevano un palazzo, del quale da parecchie generazioni in qua non pare che rimanesse vestigio — da quel codice in fuori — che serba fama d’antica patriarcal pertinenza5. Non ha data, nè spia d’amanuense o di possessore: bensì é decorato a miniature e vignette graziose; bellissimo, immacolato, scritto da penna maestra, e ritoccato da correzioni d’uomo elegantemente dotto insieme e calligrafo. Non però l’editore s’induce a persuadersi, che il codice uscito da un palazzo patriarcale dovesse essere o scrittura o dettatura del poeta, — anzi, professando di non volere oltrepassare quei limiti che da una saggia critica sono prescritti, afferma — che l’esemplare

  1. Pelli, Memorie per la Vita di Dante, pag. 130, nota 3, ed. Zalla, 1760.
  2. S. Salvini, Fasti dall’Accademia Fiorentina, pref., pag. 12, seg.
  3. Parenti, Annotazioni al Gran Dizionario, fasc. III, p. 173-177, e gli Edit. Padov. del Poema, 1822, vol. II, pag. 691-694.
  4. Fontanini, Aminta difeso, c. XIV; e qui sez. LXIX.
  5. Quirico Viviani, Codice Bartoliniano illustrato, Udine, 1823. La sua lunga prefazione in via di lettera, non avendo pagine numerale, qui è citata in corsivo.