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112 | ultime lettere d’jacopo ortis. |
all’aspetto travisato della loro nutrice. O Morte! io ti guardo e t’interrogo — non le cose, ma le loro apparenze ci turbano: infiniti uomini che non s’arrischiano di chiamarti, ti affrontano nondimeno intrepidamente! Tu pure sei necessario elemento della natura — per me oggimai tutto l’orror tuo si dilegua, e mi rassembri simile al sonno della sera, quiete dell’opre.
Ecco le spalle di quella sterile rupe che frodano le sottoposte valli del raggio fecondatore dell’anno. — A che mi sto? Se devo cooperare all’altrui felicità, io invece la turbo: s’io devo consumare la parte di calamità assegnata ad ogni uomo, io già in ventiquattro anni ho vuotato il calice che avria potuto bastarmi per una lunghissima vita. E la speranza? — Che monta? conosco io forse l’avvenire per fidargli i miei giorni? Ahi che appunto questa fatale ignoranza accarezza le nostre passioni, ed alimenta l’umana infelicità.
Il tempo vola; e col tempo ho perduto nel dolore quella parte di vita che due mesi addietro lusingavasi di conforto. Questa piaga invecchiata è ormai divenuta natura: io la sento nel mio cuore, nel mio cervello, in tutto me stesso; gronda sangue, e sospira come se fosse aperta di fresco. — Or basta, Teresa, basta: non ti par di vedere in me un infermo strascinato a lenti passi alla tomba fra la disperazione e i tormenti, e non sa prevenire con un sol colpo gli strazj del suo destino inevitabile?»
«Tento la punta di questo pugnale: io lo stringo, e sorrido qui; in mezzo a questo cuor palpitante — e sarà tutto compiuto. Ma questo ferro mi sta sempre davanti! — chi, chi osa amarti, o Teresa? chi osò rapirti? — Fuggimi dunque; non mi ti accostare, Odoardo! —
Oh! mi vado strofinando le mani per lavare la macchia del tuo sangue — le fiuto come se fumassero di delitto. Frattanto eccole immacolate, e in tempo di togliermi in un tratto dal pericolo di vivere un giorno di più: — un giorno solo; un momento — sciagurato! sarei vissuto troppo.»
20 marzo, a sera.
Io era forte: ma questo fu l’ultimo colpo che ha quasi prostrata la mia fermezza! nondimeno quello ch’è decretato è decretato. Ma tu, mio Dio, che miri nel profondo, tu vedi che questo è sacrificio più che di sangue.
Ella era, o Lorenzo, con la sua sorellina; e parea che volesse scansarmi; ma poi s’assise, e l’Isabellina tutta compunta se le posò su le ginocchia. Teresa — le diss’io accostandomi e prendendole la mano. — Mi riguardò: e quella bambina gettando il suo braccio sul collo di Teresa, e alzando il viso le parlava sottovoce: Jacopo non mi ama più. E la intesi. —