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100 | ultime lettere d’jacopo ortis. |
me solo? e s’io commetto un’azione dannosa a’ più, io sono punito; mentre non mi verrà fatto mai di vendicarmi delle loro azioni, quantunque ridondino in sommo mio danno. Possono ben essi pretendere ch’io sia figliuolo della grande famiglia; ma io, rinunziando e a’ beni e a’ doveri comuni, posso dire: Io sono un mondo in me stesso, e intendo d’emanciparmi perchè mi manca la felicità che mi avete promesso. Che s’io dividendomi non trovo la mia porzione di libertà; se gli uomini l’hanno invasa perchè sono più forti; se mi puniscono perchè la ridomando — non gli sciolgo io dalle loro bugiarde promesse e dalle mie impotenti querele cercando scampo sotterra? Ah! que’ filosofi che hanno evangelizzato le umane virtù, la probità naturale, la reciproca benevolenza — sono inavvedutamente apostoli degli astuti, ed adescano quelle poche anime ingenue e bollenti le quali amando schiettamente gli uomini per l’ardore di essere riamate, saranno sempre vittime tardi pentite della loro leale credulità.
Eppur quante volte tutti questi argomenti della ragione hanno trovata chiusa la porta del mio cuore, perch’io sperava ancora di consecrare i miei tormenti all’altrui felicità! Ma! per il nome d’Iddio, ascolta e rispondimi. A che vivo? di che pro ti son io, io fuggitivo fra queste cavernose montagne? di che onore a me stesso, alla mia patria, a’ miei cari? V’ha egli diversità da queste solitudini alla tomba? La mia morte sarebbe per me la meta de’ guai, e per voi tutti la fine delle vostre ansietà sul mio stato. Invece di tante ambasce continue, io vi darei un solo dolore — tremendo, ma ultimo: e sareste certi della eterna mia pace. I mali non ricomprano la vita.
E penso ogni giorno al dispendio di cui da più mesi sono causa a mia madre: nè so come ella possa far tanto. S’io mi tornassi, troverei casa nostra vedova del suo splendore. E incominciava già ad oscurarsi, molto innanzi ch’io mi partissi, per le pubbliche e private estorsioni le quali non restano di percuoterci. Nè però quella madre benefattrice cessa dalle sue cure: trovai dell’altro danaro a Milano; ma queste affettuose liberalità le scemeranno certamente quegli agi fra’ quali nacque. Pur troppo fu moglie mal avventurata! le sue sostanze sostengono la mia casa che rovinava per le prodigalità di mio padre; e l’età di lei mi fa ancora più amari questi pensieri. — Se sapesse! tutto è vano per lo sfortunato suo figliuolo. E s’ella vedesse qui dentro — se vedesse le tenebre e la consunzione dell’anima mia! deh! non gliene parlare, o Lorenzo: ma vita è questa? — Ah si! io vivo ancora; e l’unico spirito dei miei giorni è una sorda speranza che li rianima sempre, e che pure tento di non ascoltare: non posso — e s’io voglio disingannarla, la si converte in disperazione infernale. — Il tuo giuramento, o Teresa, proferirà ad un tempo la mia sentenza; — ma finchè tu se’ libera — e il nostro amore è tuttavia nell’arbitrio delle circostanze — dell’incerto avvenire — e della morte