Pagina:Turco - Salvatrice.djvu/15


957


— Kio le ne sarò eternamente grato, madre mia.....

— Sì, ma la tua tempra ardente mi fa paura, sel imperioso, non sei cauto abbastanza, una tua parola potrebbe tradirmi e compromettermi. per -sempre.....

anche ieri mi hai fatta tremare.....

— Ho mancato, lo sento, dovevo allontanarmi ma non potevo, ero incatenato...

— Hai fatto male Mariano e dovresti meglio comprendere i riguardi che mi devi....

Ella m’amava, lo aveva detto, ma il suo affetto era dominato dalla ragione, dall’utilità, dalle esigenze sociali, e la mia folle brama di vederla somigliava all’indiscrezione d’un estraneo.....

Un singhiozzo disperato mi strozzava la gola e la gondola continuava a scivolare sulle luride acque dinanzi alle alte muraglie dei palazzi silenziosi.

Finalmente i0 mi ricordai uomo, compresi la mia follia, e raccogliendo tutta la volontà rimasta, frenai le lagrime che mi bruciavano le guancie, soffocai l’angoscia che mi torturava, ridivenni tranquillo e risposi con quiete alle domande ch’ella mi.andava rivolgendo, forse per distrarmi. Erano domande vaghe, un po’ frivole forse e io le ascoltavo con uno scoramento profondo.

Ad un tratto, ella disse, guardando il suo piccolo orologio:

— E trascorsa un’ora, siamo?

To scostai la cortina.

— Presso al punto di partenza, mamma, alla piazza di San Giovanni e Paolo.

— Sarà bene ch’io scenda, imiei figli potrebbero tornare...

Prima che uscissi, per aiutarla, ella mi baciò, mi fece qualche raccomandazione convenzionale, s’asciugò sulle ciglia una lagrima fuggevole.

— Dobbiamo lasciarci, sa quando ci vedremo ancora ella salendo nella piazza.

Io la seguii senza rispondere e volli accompagnarla per un breve tratto ma, avevamo fatti appena pochi passi, quando apparvero da lontano, i tre giovani Sal gari. Essi ci avevano già scorti. To la inioni collo sguardo; ella disse rapidamente:

— Rimani e sii cauto.

Sorpresì di vederla con un estraneo, 1 tre figliuoli s’affrettarono incontro alla madre d’essere Mariano, ove Mariano, e chi MOrMorò detto ch’eri venuta da questa i Tha riconosciuta in distanza! esclamarono tutti insieme.

Ella li salutò affettuosamente, appena appena turbata dal pericolo, e disse, con sicurezza, presentando:

— I miei figliuoli... Maurizio, Cecilia, Evelina... il signor Adriano Delfiore figlio d’un amico di mio padre. Ci siamo incontrati qui in piazza...

Le due fanciulle si sorrisero, Maurizio Salgari un giovanotto molto elegante di diciannov’’anni, diede anzi tutto un’occhiata poco benevola alla mia persona modestamente vestita, e mi stese la punta delle dita ch’io appena toccai. Dovevo essere pallido come un mor to.

— Se non m’inganno, il signore sì trovava jJersera sul vaporetto e ta forse non l’avevi ravvisato? domandò una delle fanciulle.

— Difatti, Evelina. Ci pareva ad entrambi di conoscerci ma lo credemmo un errore, non è vero, signor Adriano?...

To chinai la testa smarrito, ed Evelina mi guardò con una certa curiosità.

Era ancora adolescente e le sua fisonomia gentile, 1 suoi occhi grandi e azzurri spiravano una delicata bontà. Anche il suo sorriso mi parve benevolo e un senso di fraterna tenerezza mi toccò il cuore.

Non era mia sorella? non erano tutti fratelli miei?

Ma la madre, la madre nostra trovò 1l coraggio di dirmi:

a intendeva visitare la chiesa, non è vero? non vorrei che indugiasse per moi.

— Non andiamo tutti a uni Giovaria; e Paolo? domando Evelina.

— Oggi no, bimba mia. Io ci fui poc’anzi e mi sento stanca.

— Se permette, signora, mì ritiro, diss’10 con la voce strozzata.

— Quando... quando tornerà a Milano?

chiese mia madre, ingiungendomi collo sguardo, di non contiaddizo a quella dovia ‘che doveva disperdere le mie tracce.

— Partirò domani, risposi laconicamente, con un brivido d’orrore per la menzogna alla quale non ero capace d’assoclarmi.

Ella mi porse la mano, io le diedi tremando la mia, la diedi ai miei fratelli, m’allontanai vacillante, colla mente in disordine.