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— Le sono riconoscente, signorina, ma le mie occupazioni... gli ammalati... non so davvero se...
— Verrà? — insistette Valeria con un breve ma profondo sguardo.
— Grazie. Forse... verrò — rispose Stefanis soggiogato, pur proponendosi di non accettare.
La fanciulla gli porse la sua manina in segno d’addio. Egli l’aveva già stretta nella sua mano nervosa, e s’avviava per uscire. quando Valeria mormorò:
— E la lettera?
— Ma, signorina...
— Io non la voglio, la prenda lei, la restituisca a chi la scrisse.
Il giovane esitava, ma uno sguardo un po’ imperioso lo decise, e, senza dir altro, inchinandosi profondamente, prese la busta, ch’ella non aveva toccata, e uscì dal salotto.
VI.
Valeria rimase alcuni minuti immobile e come raccolta in sè stessa. Il suo cuore era in tumulto, e nella sua mente fantasiosa passavano, turbinando, le più strane idee.
Prima di tutto, rammentando che Valdusa doveva recarsi fra breve a Firenze e lieta di conoscere l’albergo ov’egli era solito alloggiare in quella città, corse alla sua scrivania e preparò il seguente biglietto per lui:
«Il signor conte è incorso in un grave ma salutare errore: scrivendo contemporaneamente al dottor Stefanis e a me, ha scambiato uno coll’altro, i due indirizzi. Il fatto non ha bisogno di commenti. Le restituisco tutte le lettere ch’ella mi ha volontariamente spedite e la prego di farmi avere subito le mie. Da questo momento, ogni relazione fra lei e me, è rotta in modo irremissibile.
Vareria Muzio.»
Poi, senza curarsi nemmeno di sottoporre lo scritto all’approvazione del suo tutore, o almeno al consiglio di Miss Cox, raccolse e vi unì le poche lettere di Valdusa, un anellino e il braccialetto ch’egli le aveva regalati, ne fece un plico e mandò subito a raccomandarlo alla. posta.
Compiuto quest’atto, le parve di sentirsi più tranquilla, e andò nell’appartamentino della sua vecchia amica per aprirle il cuore.
Il conte, esasperato d’aver così scioccamente compromesso, per una