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la gentilezza dell’animo 287

agli infelici, ai vecchi, ai poveri, ai domestici, a tutte quelle persone che la sorte non ha favorite o ha messe per caso in una posizione dipendente.

Una signorina trova, ad esempio, giustissimo che in chiesa, una contadina, più attempata di lei, forse madre di famiglia, sofferente, esca dalla panca per cederle il posto, o che un vecchio domestico in pensione, che ha dedicato l’intera vita al servizio della sua famiglia, chini le sue braccia rattrappite per raccattarle il ventaglio che le è caduto; trova naturalissimo che mentre ella è al ballo e si diverte, la cameriera, stanca dal faticoso e pesante lavoro della giornata, stia ad aspettarla sonnacchiosa sovra una seggiola, per svestirla al ritorno, per ravviarle i capelli, per adagiarla fra le morbide coltri del suo candido letto.

Se la gentilezza dell’animo trova, nell’effondersi col povero, coll’inserviente, coll’infermo, la sua più caritatevole estrinsecazione, è certo, come dissi dianzi, dalla famiglia ch’essa incomincia, dalle intimità sacre del domestico focolare, ove gli affetti la rendono più facile, ove gli inevitabili interessi, i comuni dolori, le comuni battaglie possono di molto raffinarla. Anzi tutto io vorrei ch’essa si manifestasse verso i genitori, cosa forse un po’ rara a vedersi, oggi in cui le propugnate idee di riforme sociali, in teoria bellissime, in pratica attentano alle più intangibili autorità.

Ad epilogo di questo, voglio trascrivere qui un frammento tolto dalle memorie di una cara gentildonna, la quale non ebbe altro torto a rimproverarsi, davanti a sua madre, che la colpa di cui s’accusa in queste righe e che le lasciò sempre un acerbo rimpianto.

“Nella mia prima giovinezza, era sorta una piccola disputa fra la mia cara Madre e me, per un argomento da nulla, ma calorosa tanto ch’ella ebbe la bontà d’appellarsi al giudizio di un terzo per risolvere chi di noi avesse ragione. Io m’attendevo il trionfo.... e l’ebbi, ma ebbi pure l’audacia di vantarmene colla povera e benedetta mia Madre. Ella mi guardò benevola, serbando il più espressivo silenzio. Quello sguardo, come uno strale, mi scese nel profondo del cuore tramutando quel meschino trionfo in un improvviso ed umiliante dolore. Oh! quante, quante volte poi, nel corso della mia vita, mi sentii turbata dal ricordo di quella spavalderia così priva di ogni gentilezza di sentimento!”

La madre e la figlia erano, senza dubbio, due anime gentili, di quella gentilezza che ora, ahimè! si va sempre più perdendo.

Quante virtù ascose accoglie in sè questa qualità sì preziosa, quante arguzie di pensiero, quante ineffabili sfumature di sentimento!