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42 | la fanciulla straniera |
bili aspirazioni, che tu consenta al tuo intelletto una vita energica
e piena; io non voglio cercare in te un elemento esteticodi
piacere, bensì un’alleata fedele dello spirito che nelle inevitabili
controversie di quaggiù, quando si sfatano le illusioni, quando
si spegne la bellezza, mi dia il sicuro conforto della sua amicizia,
d’un legame superiore a ogni umana miseria.
Fu con questo folle barlume di speranza ch’ella s’avviò a casa e per l’ultima volta verso i luoghi prediletti. Errò alcun tempo in piazza di Spagna completando la sua raccolta di fotografie. Comperò da un bambino una ciocca di rose e se la puntò macchinalmente alla cintura, poi salì per istinto la bella gradinata ove solevano raggrupparsi una volta i modelli convenzionali. Un suono vago l’attrasse nella chiesa della Trinità dei Monti. Le monache cantavano un coro soave e triste, accompagnato dall’organo; il quadra di Daniele da Volterra era già immerso nell’ombra. Ella si fermò per ascoltare e un’onda soffocante di lagrime le salì dal cuore agli occhi. Quando uscì di nuovo all’aperto per appoggiarsi un’ultima volta al parapetto ove aveva fatto sì lunghe, deliziose soste nei giorni trascorsi, Roma si disegnava colla cupola di Michelangelo sullo sfondo sfolgorante del cielo, nell’ora vespertina. Un rumore confuso saliva dalle vie sottoposte; dietro a lei passavano i ciclisti, le carrozze, le frotte di bimbi, i forestieri che tornano dal Pincio. Era nell’aria mite di primavera, nel paesaggio caldo, nella gente serena come una placida contentezza delle cose. Anna ripensò molte gioie trascorse, rivide in una volubile fantasmagoria dei gruppi di cipressi ergentisi nella cupezza quasi tragica del verde, delle file caratteristiche di pini sugli orizzonti di fiamma, e memorabili vie antiche seminate di sepolcri, e brani d’acquedotti dispersi nella campagna vaporosa, rivide le dee impassibili dei marmi greci e la dolcissima Madonna di Raffaello nelle camere al Vaticano, la statua di Marco Aurelio e la Santa Cecilia del Maderno e uno struggimento la prese per quella città della bellezza, un orgoglioso trasporto figliale, quale Roma sola lo consente.
Prima di tornare a casa ella volle contemplare ancora una volta i ruderi giganteschi del Palatino, ove vegetavano una volta presso agli agave gli acanti degli orti farnesiani, volle immergere la sua manina tremante nelle fresche acque della fontana di Trevi e ascoltarne lo scroscio armonioso e raccogliere nella mente visioni estreme di linee e di colori.
Al desinare vi era gente. Subito dopo, donna Ortensia che doveva condurre le figliuole al teatro insistette onde Anna le