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254 impressioni e ricordi di bayreuth


cantesimo, abbia negletto il dorso, perché mai «egli avrebbe volte le spalle al nemico».

«Ivi colpirà la mia spada!» esclama il feroce figlio d’Alberico.

E, vinta l’esitazione del mite e dubbioso Gunther, fissata per Gutruna la scusa d’un fatale accidente di caccia, i tre congiurati cantano un terzetto finale, con una preghiera vendicatrice. La loro momentanea fratellanza e tutti i desiderii, tutte le passioni dolorose o selvagge che vi sì annettono, sono estrinsecateda motivi musicali già antecedentemente apparsi, e quando esce dalla reggia il corteo di nozze portando in trionfo Sigfrido e Gutruna incoronati di foglie di quercia e di fiori, e la festosa allegrezza degli ottoni irrompe, con esso, sulla scena, il diabolico tema della congiura riprende il suo diritto per pronunziare minaccioso l’ultima parola.

Il terz’atto, che rappresenta un’aspra selva e una valle dirupata presso il Reno, comincia con una scena luminosamente poetica: la ricomparsa delle tre Ondine che folleggiano a fior d’acqua nell’azzurro fiume.

Un allegro squillare di corni precede nel preludio, la dolce serenità musicale dell’elemento primitivo, gli accordi e la fanfara dell’oro, il vivace e graziosissimo terzetto delle mitiche fanciulle.

Perduta la pesta del cinghiale, sviato da un cacciatore, Sigfrido scende solo nella valle, suonando il suo fido istrumento. Le Ondine, allegre e un po’ beffarde, lo chiamano per indurlo a restituire l’anello che porta in dito. Ma l’eroe non cede nè alle loro astuzie, né alle loro profezie. «Se dovessi cingere la mia vita e la mia persona coi freddi vincoli della fama, ne farei minor caso di questa terra!» esclama egli prendendo una zolla e gettandosela a tergo. Le figlie del Reno finiscono per ritirarsi con un richiamo a Brunilde che «darà piú sicuro ascolto».

Il loro canto geniale ha un’insuperata leggiadria e dall’[?...] moto cromatico che caratterizza il loro beffardo spirito, scende velatamente nell’anima una straziante tristezza.

Il Velso si trattiene immoto a seguirle collo sguardo e col desiderio, e solo i corni da caccia lo destano dalla sua estatica contemplazione.

Gunther e Hogen sopraggiungono con molti uomini recanti la preda, otri di vino e corni a calice.

Il Nibelungo ordina che sia apprestata la mensa durante la quale poi domanda a Sigfrido se fosse vero ‘che egli sapeva comprendere il linguaggio degli uccelli. «L’ho dimenticato» risponde l’eroe, dopo che mi fu dato udire la voce della donna. Indi, per distrarre Gunther dai suoi torbidi pensieri egli narra i ricordi della trascorsa giovinezza. E, nella poetica sintesi del racconto il «Sigfrido» ci passa dinnanzi musicalmente, dalla scena dell’officina fino alla morte di Mime;-ridestate quindi dal succo di alcune erbe magiche che Hogen gli spreme nel vino, le rimembranze dell’eroe si fanno piú chiare e piú vive, la memoria ritorna sicura, intera e, quasi parlando con sè stesso, egli accenna dinnanzi agli astanti stupefatti, all’incantesimo del fuoco, alla dormente Valchiria, al bacio che la destò.

Due corvi, i misteriosi messaggeri di Wotan, sì librano sulla testa di Sigfrido e s’involano.

» Illinguaggio dei corvi, t’è noto anch’esso?» chiede di nuovo Hagen e, mentre Sigfrido si volge per guardare agli uccelli, gli caccia ferocemente la lancia nel dorso.

Il motivo della maledizione ha risuonato. L’eroe solleva con ambe le mani lo scudo, per difendersi, ma lo scudo gli sfugge, ed egli vi stramazza sopra mortalmente colpito. Le sue ultime parole sono per Brunilde il cui saluto alla vita rinascente,le arpe ricordano e il motivo dell’interrogazione al destino accompagna l’estremo addio.

Un corteo s’improvvisa; annotta, e la luna rischiara la tetra scena.

Il funebre convoglio s’avvia verso la montagna, e un magnifico intermezzo drammatico interpreta a guisa di marcia, la tragica situazione.

Dalle nebbie che hanno invasola scena, sorge nuovamente l’atrio della reggia. Gutruna vi attende i cacciatori, ma il corno di Sigfrido non squillo. Arriva Hagen annunziando con parole sibilline il triste ritorno; nel sinistro chiarore delle faci e dei tizzoni infocati appare il funerale, con un seguito di uomini e di donne piangenti. Gutruna, al colmo della desolazione si getta sul corpo esanime di Sigfrido.

Hogen attribuisce la morte dell’eroe al caso, ma Gunther rivela l’uccisore, i due fratellastri si azzuffano, Hogen domandaper sè l’anello e nella breve lotta trafigge il re dei Gibieungi, poi s’avvicina alla salma per depredarla del fatale talismano e ne atferra con atto brutale la destra, ma essa si solleva minacciosa e lo fa indietreggiare colla vibrata fanfara della spada.

In questo momento solenne entra Brunilde, lamentando che non si dedichi all’eroe piú grave e degno lutto. Colla rivelazione delle proprie sventure ella allontana la inorridita Gutruna che va vacillando a cadere presso il morto fratello suo.

Sola dominatrice della lugubre scena, sempre grande, eroica figura, Brunilds ordina agli uomini di erigere il rogo e di condurle il suo fido cavallo onde anch’esso, in onore di Sigfrido, vi possa perire con lei.

Tenere ricordanze le si affacciano, nella convinzione che Sigfrido sia rimasto vittima d’una qualche insidiosa malia, e rivolgendosi a Wotan, ella dice son grandezza Wakespeariana: «Egli mi doveva tradire, perch’io avessi coscienza d’essere donna!» Poi «Abbi pace, abbi pace o dio!» conclude in un breve sintetico squarcio musicale, come rispondendo alle antiche brame del padre.

Ma già stringono gli eventi, il dramma volge