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22 | Il sacrificio dì Ieronima |
Nei tempi passati, quando Ieronima soleva villeggiare sull’Appennino, suo padre l’aveva addestrata con buon successo, a suonare quell’istrumento durante le funzioni sacre nelle chiesette di campagna. La vista dell’organo fu per lei una grande tentazione. Ella s’accertò che la porticina della cantorìa non era chiusa ma cedeva ad una lieve pressione, e senza riflettere più oltre, facendosi precedere dal suo piccolo compagno, salì per la ripida scaletta alla modesta tribuna e vinta da un fascino irresistibile, sedette sul vecchio scanno davanti alla tastiera ingiallita.
— «E chi tira su il mantice?» domandò l’intelligente bambino, cui la zia aveva spiegato una volta la costruzione dell’istrumento, «se fossi buono io!..» e tentava di sollevare la manovella.
— «No no, bimbo mio! ti farebbe male, aspettami qui tranquillo, che vado e torno...» E, scendendo rapidamente, uscì all’aperto, chiamò un contadinotto robusto che aveva visto ad oziare sopra un muricciuolo, lo invitò a salire con lei, gli mise la manovella in mano.
Accomodò quindi i registri, prese la «voce umana», e cominciò a suonare improvvisando. Un’invincibile commozione l’agitava: le lagrime, non più contenute, cadevano sui vecchi tasti sconnessi, e gli accordi ne uscivano gravi d’angoscia.
Non era più la sola «voce umana» ora; altri istrumenti più vibrati vi si aggiungevano, le viole, i flauti, il corno. Ieronima continuava a prendere nuovi registri e colla foga d’affetto e di dolore ond’era infiammato il suo cuore, l’onda sonora cresceva, incalzava, riempiva di sè la deserta chiesa facendo tremare i vetri delle finestre. Era il ripieno dell’organo in tutta la sua maestà. Mai, oh mai quell’antico istrumento s’era sentito ricercare così, nelle sue più intime fibre; una tale sofferenza umana non aveva mai turbato la solennità delle sue sacre armonie. Il fanciullo un po’ sorpreso, ma pieno d’ammirazione, ascoltava.
— «Io voglio diventare un musicista!..» proruppe egli finalmente.
— «Oh! caro, caro!» esclamò Ieronima, interrompendosi di scatto nella sua ispirazione,stringendolo con trasporto al suo petto anelante. «Diverrai come il nonno, tu, non è vero?»
— «Come il nonno! Suona ancora, suona ancora!..»
Ieronima pose di nuovo le mani sulla tastiera, ma adesso, il primo impeto doloroso era cessato, un senso di acquetamento le veniva da quello sfogo violentissimo e con esso il rimorso d’aver suonato con un’intenzione troppo terrena, d’aver profanato cogli accenti della passione quelle mura consacrate. Il suo pensiero s’inalzò ad una contemplazione musicale affatto mistica. Volle ricordarsi una fuga di Martini, ed essa le venne tutta di getto uscendo chiara, matematica dalla sua tenacissima memoria; passò quindi ad un preludio di Bach. Non era