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18 | Il sacrificio dì Ieronima |
aveva imparata in Germania, le era stata familiare sin dall’infanzia, e
la sua attenzione era intensa, perché la storia fantastica di Antonia destava
nel suo animo un tumulto di pensieri.
Ad un tratto l’uscio si spalancò e uno dei piccini comparve, precipitandosi fra le braccia della fanciulla.
— «Non hai ancora aperto il pianoforte, zia Ieronima?» chiese egli.
— «No,Valdo.»
— «Perché?»
— «Perché non suono. Sta meglio chiuso.
— «Aprilo zia, aprilo per me, voglio suonare io!» insistette il bambino colla sua vociolina amabile.
— «Lo guasterai Valdo, hai le manine sudicie.»
Il piccino si guardò le mani, sorpreso, poi continuò, carezzevole:
«La chiave, zietta, la chiave!» Vinta dalle reiterate preghiere, Ieronima si levò di tasca la chiavina che portava costantemente seco, la fece girare lenta lenta nella toppa e sollevò il coperchio del Pleyel.
La bianca tastiera apparve. Valdo, entusiasmato, vi pose sopra i piccoli pugni e cominciò a picchiare, furiosamente.
— «Lo guasti, bambino, te l’ho detto!» esclamò Ieronima, impallidendo, Senti come si fa a suonare...» E sedette al pianoforte.
Una melodia dolce ma tristissima e incalzante come uno spasimo di dolore, parve uscire dalle mani tremanti della suonatrice, ma il grande istrumento condannato a sì esiguo spazio, aveva la voce chiusa, strozzata. Ieronima scosse la testa dolorosamente:
— «Non va, non va!» mormorò ella.
— «A me piaceva!» disse il bambino ch’era stato a sentirla, in estasi, colla testina bionda inclinata sopra una spalla, «a me piaceva tanto! Zia Ieronima, suona ancora!..»
Allora la fanciulla tentò di rammentarsi uno degli studi del Chopin, quello in mi bemolle minore, ma s’accorse subito, con un senso di viva amarezza, che dopo due mesi di riposo quasi assoluto le sue dita non scorrevano più sui tasti colla facilità consueta. Fino agli ultimi giorni della sua vita, Moras aveva voluto ch’ella facesse mattina e sera le scale; quelle scale così eguali, così nitide che si sfilavano come perle dalle mani leggere di Ieronima, davano ancora diletto al vecchio professore. Ma adesso, quando farle le scale? ove trovarne la voglia?..
Ieronima chiuse il Pleyel, prese il bambino in grembo e soffocò e disperse fra i suoi riccioli biondi un impeto di lagrime infocate.
— «Perché piangi, Ieronima?» domandò il piccino.
— «Perché... perché, Valdo, penso al nonno, penso alla musica che ho perduto. anch’essa...»