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la vita italiana 295


molteplici suoi ammiratori; miss Aberdeen, una scozzese assai ricercata e alla moda, che suo padre, archeologo distinto, soleva condur seco da qualche tempo l’inverno a Roma; Luisa Hercolani, una lontana cugina di Patrizio, vissuta quasi sempre fuori per ragioni di famiglia e di salute, fanciulla poco più che ventenne, la quale molte cure assidue e gelose avevano sempre salvata da una tisi ereditaria minacciante ad ogni volgere di stagione, e la cui bellezza delicatissima di fiore esotico e freddoloso passava quasi inosservata per il suo contegno raccolto e schivo; finalmente due o tre giovinette della colonia straniera residenti nella capitale italiana.

Clara di Samoclevo si toglieva dalle altre per la sua alta statura, per il suo portamento un po’ altero, per il suo nobile incedere, per la distinzione ch’ella metteva in ogni suo atto, e che dava al suo volto, d’una purezza scultoria, quella specie d’incanto mistico che fanno provare le statue attiche delle dee. Fornita d’una solida istruzione fondamentale, che doveva forse più alla tenacità d’una mirabile memoria che alla forza dell’ingegno, Clara, senza trascurare le abitudini mondane dello sport e di altri diletti, dedicava gran parte della sua giornata a studi seri che tradivano spesso le sue più o meno involontarie citazioni.

Patrizio, in sulle prime, si trovò un po’ fuori di posto in mezzo a quell’eletta raccolta di fanciulle; ma donna Clara s’affrettò di offrirgli una chicchera di Sian Pschian fumante e un vassoio guernito di sandwiches d’ogni sapore.

Egli sedette vicino alla piccola Luisa Hercolani, la quale rispose con una certa gravità alle domande ch’egli le fece intorno alla sua salute.

Mentre le altre ragazze, più non curando l’interruzione, s’erano rimesse a ciarlare e a ridere, egli osservò che Luisa rimaneva. alquanto seria e come assorta in sè stessa, e pensò con un certo rammarico doloroso a quella dolce esistenza di fanciulla che la morte insidiava continuamente. Anch’ella gli rivolse il discorso colla sua voce debole, un po’ velata.

— Vi siete divertito, Patrizio, nella vostra corsa a Massaua?

— Moltissimo, cugina mia.

— E... vi trovo allegro, come sempre, non è vero?

— Allegro?... Non saprei!.., Alle volte. c’è uno stato d’animo che supera quello dell’allegrezza.

Luisa lo guardò con uno sguardo strano che fece impressione al giovane. Egli credette che pensasse alla propria giovinezza travagliata da tante sofferenze, e si dolse di aver vantato in certo modo il suo benessere.

— Andate anche quest’anno a Catania?... chiese egli.

— Oh, no! Volevano i medici che vi andassi, ma non ho voluto io. Mi sento meglio, e se dovessi partire da Roma, mi pare, che m’ammalerei.

— Luisa è innamorata di Roma, disse donna Clara avvicinandosi con una coppa di Murano piena di, dolci.

— Ha ragione!... E la più bella città del mondo.

— Lo ha detto anche nella sua caratteristica, osservò la vispa Regina d’Oristano.

— Nella caratteristica?

— Ciascuna di queste figliuole ha dichiarato i propri gusti per farne lo studio psicologico; è un giuoco che Clara vide in un giornale tedesco, spiegò donna Cristina.

— Molto interessante, mormorò Patrizio alquanto sgomentato dall’idea del giuoco; ma queste dichiarazioni devono restare inedite? soggiunse per semplice cortesia.

— Per mio conto sì, sclamò vivacemente Luisa, cui fecero coro diverse compagne.

— Io poi non ci tengo affatto al segreto, disse Clara, e cercando fra diversi foglietti sparsi sovra un tavolo di lacca chinese, ne scelse uno e lo porse al principe, il quale comprese soltanto allora quanto quell’innocente trastullo potesse riuscire efficace alle sue indagini.

Nell’esprimere i suoi gusti a norma d’una diffusa lista d’interrogazioni, la fanciulla aveva fatto il solito sfoggio di sapere, aveva nominato artisti stranieri e astrusi filosofi e orchidee tropicali; aveva manifestato idee ricercate, opinioni molto individuali, nulla però tradendo della sua vita morale, intima. Soltanto alla domanda: «Qual è il tuo ideale?» aveva risposto: «Un devoto cavaliere».

Collalto ne scorse adagio adagio il contenuto, poi, un po’ sconcertato, restituì il foglietto la cui bella scrittura slanciata, quasi angolare, molto aristocratica, lo aveva lasciato più dubbioso che mai.