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la vita italiana 291


«Principe,

«Da molti mesi mi stette fisso nell’animo il desiderio di scrivervi, ma me ne mancò sempre il coraggio. Al momento di appagare, per un istinto ancora più imperioso del solito, questo mio incessante desiderio, sento un’angoscia che mi tortura e che pur non è capace di farmi desistere. «Scrivo tremando, ma sono certa che domani, quando saprò che la lettera vi sarà giunta e che ne conoscerete il contenuto, una grande tranquillità, forse un’impressione di pace discenderanno sul mio cuore e sulla mia giovinezza, come s’io avessi intravvista per un minuto, per un unico indimenticabile minuto, la felicità che sfugge.....

«La prima volta che v' incontrai mi parve diversa la vita, mi parve bella. Quando v' udii parlare mi sembrò che la vostra voce racchiudesse quelle armonie che il mio orecchio da qualche tempo, inconsciamente, vagheggiava.

«Le idee che esprimeste non erano convenzionali, ipocrite, fredde o scettiche come quelle degli altri uomini. Sulla vostra fronte si legge ad un tempo l' arguzia dello spirito e la profondità dell’intelletto; gli occhi vostri ricercano e compenetrano e nel sorriso si rivela un’innata bontà.

«Una grande, un’infinita dolcezza mi è venuta da voi come d’una preziosa scoperta ch’io avessi fatto nel mondo.

«Principe, voi non sapete chi io sia, e, benchè viviamo nella stessa cerchia sociale, non lo saprete mai. Non indagatelo..... non potreste amarmi, lo so, lo sento.

«Io non vi chieggo che un cortese pensiero; io altro non vi chieggo che, se mai (lo tolga il cielo!), dovesse sorgere per voi un giorno di tristezza o di dolore, ricordiate la passione di colei, che, per vedervi felice, tutto darebbe, anche la vita. Addio, principe..... ah no, addio, Patrizio, è così caro il vostro nome..... Non posso dirvi il mio, ma firmerò

Fedele».


Collalto lesse e rilesse quella lettera senza saper vincere un’insolita commozione. Non era un uomo vano, era un uomo di valore e professava per la donna un culto nobile e cortese.

D’ improvviso gli passarono dinanzi agli occhi come una visione splendida e raggiante molte figure muliebri, tipi svariati di creature leggiadre ch’egli aveva amate fuggevolmente o che avevano amato lui. La piccola Caterina Norsa, una vivace meridionale, l’inspiratrice del suo primo romanzo a diciotto anni; ma quella, molto infelice, per i maltrattamenti d’un marito brutale, era morta sul fiore dell’età — la marchesa Viviani, veneta, tutta grazia, tutta smorfie, leggera assai, di cui gli era rimasto una specie di amaro disgusto — miss Hermione Lee, un’inglese trascendentale che durante una stagione aveva flirted seco lui, coll’intenzione di non farsì scorgere, parlandogli sempre d’incunaboli, di palimpsesti e di edizioni rare, cose tutte per le quali manifestava un’irresistibile mania, e poi la bella Thyra Halhjàr, una fantasiosa figlia della Danimarca, così seducente, così finamente civetta, e la buona duchessa di Terracina che gli voleva un gran bene... ma quella glielo aveva confessato in un giorno di debolezza e poi se n’era pentita perchè era assai pia...

E altre figure di donne egli rivide nel pensiero, figure crucciate o sorridenti, raramente gravi, il più delle volte elegantissime che, sotto l’apparenza frivola di gaudenti, nascondono i misteri delle ben celate colpe, o delle virtù sublimi, delle deluse aspirazioni o del-