Pagina:Turco - Il romanzo di Luisa Hercolani.djvu/14

300 la vita italiana


Patrizio, ad onta dei suoi molteplici amori, aveva serbato ancora in fondo alla sua anima una segreta scintilla, dalla quale solo un’anima appassionata, come la sua, avrebbe potuto trarre il fuoco. Egli fu illuso alcun tempo sull’indole di Clara, e, prima delle nozze, il fascino singolare d’una bellezza così inquietante nella sua imperturbabilità, lo tenne in uno stato di continuo esaltamento; ma quando l’ebbe conquisa, egli s’accorse che quel fascino era un inganno, che quell’imperturbabilità non celava alcuna nobile alterezza; che alcuno slancio non veniva mai ad infiammare quel volto corretto di statua.

Egli sofferse, egli si studiò d’infonderle una intensa vita morale, come Pigmalione aveva tentato di animare con un soffio potente la sua bellissima statua, ma nulla valse. Clara non conosceva quei turbamenti, nè bramava conoscerli.

Erano ancora fidanzati, quando, una sera, mentre la carrozza aspettava,epasseggiavano insieme a villa Pamphily, là ove lo sguardo abbraccia parte di Roma, Clara chiese a Patrizio.

— È qualche tempo che non vai a casa Hercolani?...

— Due settimane. Sono tutto assorto in te, Clara.

— Luisella è a letto da dieci giorni e temono non sI alzerà più.

Patrizio rabbrividi lievemente, e si rimproverò di non aver pensato a sua cugina: in quei giorni di contentezza, egli l’aveva dimenticata.

— Però, non è molto, mi sembra, che è venuta a salutarti?...

— Si, quando ci siamo fidanzati; ma la trovaI tanto patita...

— Fa pena! — disse Collalto, contemplando una volta di più, l’eretta, slanciata figura della sua compagna, forte di salute e di robustezza.

— Dev’essere doloroso il morire così, sul fiore degli anni...

— Oh! terribile! mormorò Clara, cui il pensiero della morte faceva orrore.

Ma tacquero subito entrambi, e più compresi della loro apparente felicità che di quella dolorosa minaccia, si dettero alla contemplazione del divino paesaggio che iltramonto faceva rosseggiare d’una luce d’incendio.

  • * *

L’indomani, i due fidanzati andarono, ad ore diverse, ad informarsi al palazzo Hercolani; ma non furono ricevuti che dalla damigella di compagnia, la quale confermò, lagrimando, che la signorina era gravemente inferma. Da qualche tempo aveva incominciato a dar serii timori ed ora, pur troppo, i medici serbavano poche speranze.

Difatti, abbattuta da un’acuta bronchite, Luisa volgeva rapidamente al suo fine, e morì rassegnata, ma triste, in uno splendido giorno di giugno, sfuggendo a tutti i disperati sforzi dell’arte e dell’affetto. Il padre che l’idolatrava, le amiche che l’avevano tanto amata, la copersero di fiori. Patrizio mandò anch’egli una ghirlanda di gardenie e per un istinto quasi irresistibile andò a vedere la piccola morta. Il corpicciuolo esausto della fanciulla si perdeva fra le rose, i gigli e i preziosi fiori esotici strappati dal calidario dei Samocelevo e da altre serre. Non si vedeva che la testina profilata con un’opulenza di capelli biondi, appena ravvolti, come un’auréola intorno alla fronte su cui un ultimo pensiero, più amaro degli altri e più persistente forse, aveva tracciato una piega di dolore.

Patrizio pensò alla sera del ballo e alle dolci parole di Luisa e, in segreto, pianse.