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FIORI D’INVERNO
A gloria autunnale della Natura si è spenta, si sono fusi a poco a poco, nella triste neutralità delle tinte, i toni smaglianti dell’ultima ora che squillavano come una fanfara di trombe nell’inno di morte.
Le foglie scolorate si staccano con una lentezza stanca dagli alberi intirizziti e lungo sarebbe il triste spettacolo se non venissero a strapparle a legioni le fredde bufere di novembre; la nebbia avvolge il paesaggio come un casto velario che discende sulla finale rovina e quand’essa si disperde e il sole finalmente ritorna fra le nubi fuggenti, l’opera di devastazione è compiuta: brulli ergono i tronchi vestiti di muschi e di licheni la loro grigia chioma al cielo, rabbrividiscono gli ignudi arbusti nella brezza frizzante e le piante erbacee, dopo avere abbandonato gli ultimi semi alla saggezza del vento, piegano il loro capo sbattuto verso l’avida terra che tutto accoglie e discioglie nel suo grembo fecondo di vite novelle.
È inverno. Ovunque si stende uno squallore di sterminio, la stessa mano inesorabile ha sparso la desolazione sui campi del lavoro come sui parchi dilettosi; solo, nei vasti paesaggi, qui e lì, una selva di conifere, un boschetto di elci, un viale di mirti, una siepe d’edera rimangono impavidi e freddi spettatori nel loro intangibile ammanto di bruna o glauca verdura, ma anch’essi non vegetano, sono come assorti in un gelido sonno: comparse senza vita, non possono parlarci più.
Eppure, nel grande regno della Natura, anche per noi, abitatori di ingrati climi, un conforto rimane in tale jemale distruzione; i fiori, i cari e poetici fiori non ci negano mai la loro molteplice bellezza di forme, di colori e di fragranze. Sembra quasi ch’essi abbiano serbata una tale bellezza a consolare l’affanno delle invernali mestizie, e, per questi, anzitutto, a mio dire, meritano la nostra grata ammirazione le umili pianticine che, senza soccorso di mano amica, nella libera campagna, nei boschi, nelle aperte aiuole dei giardini, dispiegano i loro fiorelli al gelo, non curandone il rigore.
Il simpatico elleboro, cui i Greci attribuirono sì forti virtù risanatrici della mente, e prova ne sia la guarigione delle impazzite figlie di Preto, apre talvolta, anche sotto la neve, la sua corolla bianca soffusa di rosa e di verde; un po’ rigido ma geniale esso ha un’attraente purezza come le anime forti e schive; spesso in gennaio, se la temperatura non è troppo