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degli indifferenti, s’era messo perfino ad evitare i ritrovi e gli amici.

Nelle due ultime settimane di novembre non seppe più nulla, ma informatosi al palazzo Riace, intese dal portiere che le signore erano presso a tornare, e un bel giorno, una cartolina della marchesa lo avvertì che la sera sarebbero giunte e che lo aspetterebbero.

Non fu mai con tale e sì angosciosa incertezza che Montalto varcò la cara soglia di quella casa ove aveva trascorso le più belle ore della sua vita. Sulle scale dovette soffermarsi a lungo, per riprendere fiato e coraggio. Introdotto nel salottino familiare ove, in mezzo al geniale disordine dell’arrivo, le signore Edace ricevevano già alcuni intimi amici, Montalto v’ebbe la solita accoglienza gentile e piena d’amorevolezza, ma nulla egli potè leggere in volto alla marchesa, nè nello sguardo concentrato di Violante. Non osò nemmeno trattenersi più a lungo degli altri; ma; mentre s’accomiatava, la fanciulla gli disse:

— Spero che m’avrete serbata la mia ora, maestro. Sono una vecchia scolara, ho ventitrè anni, ma non rinunzio alle mie lezioni...

Montalto s’inchinò sorridendo, alquanto rincorato.

Ma quella dell’indomani non fu una lezione, fu un colloquio, come sempre avveniva al ritorno dalla campagna.

Appoggiato al pianoforte, Montalto di solito si