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Egli viaggiò solo, nel buio della notte, col martirio di quella pena atroce, che solo confortava di tratto in tratto, nel vaneggiamento dell’esaltata fantasia, l’ineffabile dolcezza d’un ricordo: la voce prediletta che lo chiamava col suo nome.


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La madre di Montalto era una donna di media età, che le cure è i patimenti avevano precocemente invecchiata. Piccoletta di statura e bianca di capelli, vestiva sempre con semplicità ricercata e quasi claustrale, possedeva quella grazia particolare che dà il candore dell’animo congiunto alla nobiltà del sentimento, quella quieta soavità di modi che deriva dall’abitudine del rassegnato soffrire: era il tipo delle gentildonne d’un tempo che l’avversa fortuna condanna alla reclusione e all’oblio. Adorata da suo figlio, lo adorava, vegliando come una fata benigna sulla piccola casa geniale ch’egli s’era procurata, col frutto del suo lavoro. Ricordi d’arte, ritratti di musicisti colla firma autografa, schizzi di pittori celebri formavano il più bell’ornamento di quell’appartamentino modesto ma spirante un’aura di onesta serenità. V’era anche qualche memoria di Violante, certe trine, certi ricami di stile antico, eseguiti con mano maestra e con gusto perfetto, poiché ella ci veniva talvolta, con la madre, in quella casa, attratta dall’angelica bontà della signora Montalto, chiamata