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talto, fingendo di osservare un giornale illustrato per coprirsene il viso.

Egli ingollò in fretta il caffè che aveva, ordinato e, per sottrarsi alla loquacità del suo interlocutore che si perdeva ingenuamente in fantastiche induzioni, partì subito dal circolo. Egli aveva il cuore in tumulto, il cervello in disordine.

Ma in quel disordine, una subita luce si fece, una risoluzione improvvisa.

Gli rimanevano ancora quattro giorni di vacanza... dunque egli doveva partire, partire senz’altro, andare a Villa Vittoria a vedere da sè, a convincersi della realtà del fatto. Tutto, piuttosto che quella crudele incertezza!

Guardò il suo orologio: era già tardi, non arrivava più in tempo a prendere il diretto della sera. Villa Vittoria era alquanto lontana: ci volevano sei ore per raggiungere l’ultima stazione ferroviaria e poi un’ora e mezzo di carrozza per salire la montagna. Egli passò una notte agitata ed insonne; il domane, resistendo alle amorose istanze della madre, che forse da lungo tempo indovinava lo stato del suo animo e voleva trattenerlo ad ogni costo, si fece condurre alla stazione. Quando si trovò in viaggio, per buona ventura affatto solo nel suo coupè, gli parve di respirar meglio, d’essere più tranquillo, quasi rasserenato. Saprebbe almeno... non rimarrebbe due mesi in quell’apprensione angosciosa....

Piovigginava e la giornata d’ottobre era ma-