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In quella settimana dolorosa la fanciulla s0stenne con sè stessa la più aspra battaglia.

Il suo intelletto oppresso e stanco non era quasi in grado d’afferrare la nuova idea: ella non sentiva più che un malinconico desiderio di quiete e di silenzio; il bisogno di costringere la sua volontà a quell’ultimo e grave conflitto le faceva paura.

E se di quando in quando le appariva dinanzi una cara visione, un diletto paesaggio, un noto orizzonte, se la speranza di poter contemplare ancora le forme maestose delle sue Alpi, riposando all’ombra degli abeti secolari, le dava un senso di pace, il pensiero di cedere all’insistente generosità di Moras e d’accettare l’offerta una volta rifiutata, suscitava nel profondo del suo essere un fremito di ribellione e di ripugnanza mortale.

Eppure Elfrida sentiva che nella casa Roccaoliva non avrebbe più potuto vivere se non a patto d’una benevola, umiliante indulgenza: la sua salute era molto scossa e ogni giorno le venivano scemando le forze per il lavoro. Il suo destino si compiva dinanzi alla sua impotente alterezza, una forza superiore la costringeva a stendere le braccia verso quel porto dal quale una volta aveva distolto con orrore lo sguardo.

La lotta fu acerba, ma nella disfatta, nell’ultima transazione dell’orgoglio più abbattuto che